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Le foto alla vicina nuda? Non è un reato se lei non ha tende alla finestra

Il giovane aveva ripreso una donna sotto la doccia. La Suprema corte: «È innocente»

Cristina Bassi

Milano Fotografare la vicina nuda sotto la doccia non è reato, se lei non ha montato le tende alle finestre. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, che con una sentenza depositata ieri ha assolto «perché il fatto non sussiste» un 37enne di Milano che aveva fatto foto e riprese video di una donna. Quest'ultima si era trovata nell'appartamento della madre, che è appunto senza tende e proprio di fronte a quello dell'imputato, ed era stata sorpresa senza vestiti appena uscita dalla doccia.

I giudici della Terza sezione penale della Suprema corte hanno ribaltato, su questo punto, la decisione della corte d'Appello di Milano. Stabilendo che la colpa di non essersi sottratta a occhi indiscreti schermando i vetri di casa è della donna che si riteneva spiata. Il reato contestato al 37enne era quello di interferenza illecita nella vita privata (articolo 615 bis del Codice penale). La tesi dei magistrati milanesi era che «le riprese video di una persona che si trovi nel bagno di un'abitazione privata è una condotta punibile ai sensi dell'articolo 615 bis cp, non rilevando (non essendo cioè rilevante, ndr) l'assenza di tende». Per la Cassazione invece, «l'imputato non utilizzò alcun accorgimento per fotografare e filmare la persona offesa». Vale a dire non ha dovuto escogitare stratagemmi per superare le barriere visive. Quindi «deve escludersi la configurabilità del reato, non essendo stati ripresi comportamenti della vita privata sottratti alla normale osservazione dall'esterno». La parola chiave è «sottratti»: la signora non si è nascosta in alcun modo. Infatti si legge ancora che la «tutela del domicilio è limitata a ciò che si compie nei luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi». Perché la ripresa di situazioni di sicuro private costituisca reato, «non è sufficiente che la stessa abbia ad oggetto immagini che riguardino atti che si svolgano in uno dei luoghi indicati dall'articolo 614 cp (che punisce la violazione di domicilio, ndr)», come la casa di qualcuno o un luogo privato. «Ma è anche necessario che tale condotta sia posta in essere indebitamente». Perciò «seppure la condotta avvenga in uno di detti luoghi, la stessa - sottolinea ancora la Corte - non sarebbe illecita ove non avvenga in contrasto o eludendo, clandestinamente o con inganno, la volontà di chi abbia il diritto di escludere dal luogo l'autore delle riprese». Concludendo, se l'azione può «essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti» non si verifica una «lesione della riservatezza del titolare del domicilio».

La Suprema corte ha dunque lievemente ridotto la pena del 37enne milanese, da tre anni e due mesi a due anni, sei mesi e dieci giorni di carcere. Diventati definitivi. Fin qui potrebbe sembrare una vicenda dai contorni tutto sommato boccacceschi. Se non fosse che l'uomo è accusato anche di reati più gravi. Di aver fatto video nel magazzino del proprio bar, dove le sue dipendenti si cambiavano, e di atti sessuali ai danni di una bambina.

In questi ultimi casi la condanna è stata confermata.

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