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Dalla Francia all'Olanda Ora si teme l'effetto domino

Sulla scia del voto britannico molti Paesi puntano a sganciarsi dalla Ue e sognano un referendum

Dalla Francia all'Olanda Ora si teme l'effetto domino

Colpiti, ma non ancora affondati. La salva capace di far inabissare il malconcio vascello europeo rischia, però, di arrivare dai suoi stessi acquartieramenti. A spararla ci penseranno i leader di quei movimenti che da anni subiscono la delegittimazione di Bruxelles. Dalla Francia alla Svezia, dall'Italia alla Germania, dall'Austria alla Danimarca gli euroscettici - liquidati ora come populisti, ora come pericolosi reazionari e revanscisti - studiano la riscossa. E si preparano a capitalizzare la legittimazione arrivata da un Inghilterra a cui nessuno può dare lezioni di democrazia.

Il punto di partenza obbligato per comprendere l'«effetto domino» pronto ad abbattere l'Europa è una Francia dove il 55 per cento degli elettori auspica un referendum simile a quello inglese. Ed il 41 per cento è pronto a votare l'addio a Bruxelles. Non a caso Marine Le Pen vede in quel referendum l'arma decisiva per trasformare le presidenziali di aprile nella Waterloo di socialisti e neo-gollisti. «Vittoria per la libertà - già cinguetta nei suoi tweet la Le Pen - ora dobbiamo ottenere lo stesso referendum in Francia e nei paesi europei». Quel referendum è il cavallo di battaglia su cui Marine punta per trasformare in forza di governo un movimento cresciuto, fin qui, grazie agli errori di un'Europa che ha distrutto il potere del ceto medio francese seminando, grazie alle sue politiche migratorie, malcontento e insicurezza sociale. Prima della Francia potrebbe però colpire l'Olanda. Lì il Partito della Libertà di Geert Wilder, portabandiera dell'anti-immigrazione, è già ora il vincitore designato delle elezioni del prossimo marzo. Una vittoria che la Brexit può ulteriormente amplificare. Il 54 per cento degli olandesi sogna infatti un referendum simile a quello inglese. «Vogliamo controllare il nostro paese, la nostra moneta i nostri confini e le nostre politiche migratorie l'Olanda - fa sapere Wilder - deve dire quanto prima la sua sull'Unione Europea». Più immediato, ma più confuso, il panorama spagnolo dove domenica si cercherà una soluzione alla paralisi politica generata dal voto del 2015. Qui il movimento Podemos, seppur ancorato alle ideologie della sinistra radicale, può comunque trovare un volano nella Brexit e risucchiare, anche se in un'ottica diversa da quella inglese o francese, i voti anti-europeisti. Tenendo conto però che in Spagna il bacino degli euro-scettici duri e puri non supera il 26 per cento.

Ben più complessa la situazione in Germania dove Angela Merkel, oltre ad impersonificare le scelte economiche della Ue, è anche il volto di quelle politiche migratorie che hanno portato un milione di rifugiati nei land tedeschi. La prova che rischia di trasformare anche la Germania in un terreno assai scivoloso per l'Europa sono le elezioni dell'autunno 2017. L'addio inglese minaccia di regalare energie sia agli euroscettici di «Alternativa per la Germania» - già oltre il 15 per cento nei sondaggi - sia ai verdi, confinando i partiti della «Große Koalition» sotto il 50 per cento. In Austria dove il candidato del Partito della Liberta (Fpo) Norbert Hofer ha perso per un soffio le presidenziali l'effetto Brexit è scontato. Anche perché la formazione di destra già auspica una consultazione sulla falsariga di quella britannica. Nella repubblica Ceca è invece lo stesso premier socialdemocratico Bohuslav Sobotka a prevedere «un dibattito sul possibile ritiro dall'Unione da qui a qualche anno».

Il rischio secessione più immediato arriva però da paesi come Svezia e Danimarca che hanno sempre seguito il modello inglese uniformandosi alla scelta di mantenere le rispettive monete nazionali. La Danimarca ha già confermato nei referendum sul Trattato di Maastricht del 1992 e sull'Euro (2000) la sua caratteristica di partner assai riluttante. In Svezia, solo il 32 per cento degli elettori sopporta di restare in una Ue orfana degli inglesi mentre il 36% sogna una «Swexit».

Non a caso il partito euroscettico dei Democratici Svedesi è salito nei sondaggi dal 13,9 per cento delle elezioni del 2014 a ben oltre il 20 per cento non appena la Svezia ha accolto, in conformità alle politiche Ue, 163mila richiedenti asilo.

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