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La Francia a corto di burro: a rischio milioni di croissant

Prezzi alle stelle e scorte al lumicino dopo la nascita di altri mercati, soprattutto quello cinese e messicano

La Francia a corto di burro: a rischio milioni di croissant

Si pensava che l'italica demonizzazione dell'olio di palma portasse a risollevare le sorti di altri e più nobili grassi. Come il buonissimo burro. Tant'è che per qualche tempo da noi sono spuntate sorprendenti pubblicità che tiravano la volata a questo alimento sano e, tutto sommato, meno calorico di molti olii, compreso l'extravergine. Macchè, l'italiano, tra i minori consumatori al mondo di burro (un chilo e mezzo pro capite all'anno) assieme a greci e giapponesi non ne vuol proprio sapere, dice che fa «male alla salute» (poi però mangia panna a tradimento) e continua a preparare dolci, lieviti e risotti (orrore) con l'olio d'oliva. Siamo fatti così; fortuna che ci sono i torcetti e i crumiri.

In Francia no, l'olio di palma lo conoscono di nome e in ogni confezione di biscotti che si rispetti c'è la foto in bella vista del ricciolo biondo. Qui si usa solo burro e di qualità. Solo che da un po' di giorni le scorte sono finite. Tragedia nazionale, interrogazioni in parlamento e tutti a surgelare. Del resto è la legge del mercato: la domanda cresce, e insieme a essa i prezzi, e le scorte si riducono. Con i supermercati francesi che non vogliono pagare di più, i produttori stanno ricorrendo alle esportazioni, vista anche l'impennata del mercato a livello globale: risultato? La richiesta cresce, l'offerta cala paurosamante.

Tutti pezzi che compongono lo stesso puzzle: la Francia, il più grande consumatore di burro pro capite del mondo (otto chili a testa), non ne ha a sufficienza per coprire la domanda di croissant, salse e crostate. A riportare la notizia è Bloomberg. «È un problema francese, legato a una guerra di prezzi in atto tra i commercianti locali», spiega al media americano Thierry Roquefeuil, presidente della federazione dei produttori di latte. «I supermercati si rifiutano di aumentare i prezzi, anche solo di pochi centesimi. I produttori guardano al guadagno e vendono all'estero».

I prezzi del burro sono triplicati in un anno: nel 2016 per comprarne una tonnellata si spendevano 2mila e 500 euro. Ora ce ne vogliono 7mila, secondo uno studio di Agritel. È il dato più alto da quando la Commissione Europea ha iniziato a fare questo tipo di analisi. Nel frettempo nei supermercati il burro francese sta diventando merce rara, le persone fanno scorta. Ma cosa ha provocato questa penuria di burro visto che in Europa il consumo è stabile? Il fatto è che il grasso animale è sempre più richiesto. Nuovi paesi lo hanno introdotto come alimento o stanno diventando più ricchi e possono permetterselo di più: in particolare in Cina, Egitto e Messico. La tendenza è favorita anche da una generale rivalutazione del burro, a lungo considerato un grasso pericoloso che causava malattie cardiovascolari ma che ora viene invece considerato più salutare rispetto ai grassi che l'avevano sostituito, esempio la margarina. Per questo molte persone hanno ripreso a mangiarlo e grosse aziende l'hanno reintrodotto, come per esempio McDonald's che ha rimpiazzato la margarina col burro per produrre pankakes e muffin di qualità. Naturalmente, la Coldiretti ha già lanciato l'allarme a marzo, gli aumenti interesseranno anche l'Italia, seppur in tono minore. Il consumo pro capite di burro resta molto inferiore alla media europea. Per noi esiste soprattutto l'olio d'oliva. Lo usiamo anche nei «cornetti».

E non sappiamo quello che ci perdiamo.

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