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Francia, linea dura con gli imam Noi invece restiamo buonisti

Obbligo di sermoni in francese e divieto di predicatori stranieri. In Italia chi vuole regole viene boicottato

Francia, linea dura con gli imam Noi invece restiamo buonisti

Finché s'è trattato d'imitare la Francia sul terreno, puramente simbolico, della preghiera comune il Partito Democratico, il governo Renzi e i loro sostenitori non sono stati secondi a nessuno nell'elogiare Parigi. Ora però bisogna vedere se imiteranno la Francia anche sul terreno concreto della lotta al terrorismo. Il premier socialista francese Manuel Valls - omologo politico e istituzionale di Matteo Renzi - ha annunciato con estrema chiarezza che in Francia non vi sarà più spazio per l'islam jihadista, per i predicatori dell'odio e per i finanziamenti stranieri alle moschee. Anche se Valls preferisce presentarlo come un «nuovo patto con l'islam», quel piano suona come un rigoroso «diktat» a tutte le comunità musulmane sospettate di connivenza o collusione con il jihadismo e le dottrine salafite e wahabite. Non a caso il «patto» prevede l'obbligo per tutti gli imam «di formarsi in Francia e non altrove», il divieto di «finanziamenti stranieri per la costruzione di moschee» e la messa al bando delle dottrine wahabite «per cui non c'è più posto in Francia». Come dire che s'impegnerà a espellere chiunque continuerà a rifarsi alla religione di stato del Qatar e dall'Arabia Saudita. In Italia Matteo Renzi è pronto a far lo stesso?

A ben vedere c'è da dubitarne. Fino a oggi il Partito Democratico, il governo e le istituzioni controllate dalla sinistra sono sembrati più interessati a incoraggiare i legami con le comunità islamiche vicine alla Fratellanza Musulmana e all'islam radicale. Uno degli esempi più citati a destra è la messa fuori legge per incostituzionalità, richiesta dal governo e sentenziata a febbraio dalla Consulta, della legge sulle moschee proposta a suo tempo dalla Giunta regionale della Lombardia. La legge, voluta dalla Lega, presentava sicuramente molti punti deboli perché giocava sull'escamotage d'arginare il proliferare di moschee fuori controllo con vincoli edilizi anziché giuridici e legali. Ma l'esecutivo Renzi e il Pd, anziché proporre miglioramenti, hanno puntato esclusivamente a boicottarla e delegittimarla. E a pareggiare il conto non basta certo la recente proposta del ministro degli interni Angelino Alfano d'introdurre una certificazione ministeriale per gli imam italiani. La proposta Alfano ha ben poco a che vedere con quelle del premier d'oltralpe. Mentre Valls propone l'esclusione di qualsiasi imam incapace di predicare in francese e formatosi al di fuori della Repubblica, Alfano auspica una sorta di certificazione per gli imam di nazionalità italiana, ma si guarda bene dal mettere al bando quelli arrivati dall'estero e pronti a predicare solo nella propria lingua. In questo campo, del resto, i precedenti del nostro ministro non sono rassicuranti. Nel 2015, al termine di un incontro con i rappresentanti di varie comunità islamiche, Alfano fu bersagliato dalle accuse dei musulmani moderati che lo accusavano di aver garantito la presenza di ben sette rappresentanti dell'Ucoii, ovvero delle Comunità più vicine alla Fratellanza Musulmana. Ancor più grave è però l'infiltrazione dei predicatori dell'Ucoii all'interno delle prigioni italiane. Un'infiltrazione avvenuta con la piena connivenza delle nostre istituzioni malgrado sia risaputo che nelle carceri inizia, spesso, quel processo di radicalizzazione capace di trasformare i piccoli criminali musulmani in spietati terroristi. Lo scorso novembre, in concomitanza con le stragi di Parigi, il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo ha firmato un protocollo d'intesa che garantisce agli imam scelti dall'Ucoii libero accesso a otto carceri. A Torino, Milano, Brescia, Verona, Modena, Cremona e Firenze gli imam dell'Ucoii sono diventati i «gestori» della sala utilizzata come luogo di culto dai detenuti musulmani e i responsabili di quelli che il protocollo definisce «momenti collettivi di preghiera».

Con un protocollo firmato durante il governo Renzi si sono dunque aperte le prigioni italiane ai predicatori legati a quella «Fratellanza Musulmana» considerata da molti paesi arabi collusa e connivente con il terrore islamista.

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