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La fronda Pd se ne vuole andare. Renzi minaccia le urne anticipate

Protesta dei dissidenti in commissione per la riforma del Senato. Civati: "Via se continua così". Oggi resa dei conti all'assemblea

La fronda Pd se ne vuole andare. Renzi minaccia le urne anticipate

Si muovono mediatori e pontieri, la «fu-Ditta» entra nella fase più difficile della sua breve e non entusiasmante storia. Matteo Renzi si mostra consapevole che l'anno nuovo comincerà tutto in salita, «gennaio e febbraio saranno mesi un po' complicati», dice. Il solito ottimista a oltranza, il premier. Perché con i «tanti provvedimenti, passaggi istituzionali, appuntamenti legati ai tanti provvedimenti di legge», Renzi rischia di ritrovarsi «nudo» alla meta: senza nessuno degli schermi dei quali finora s'è fatto scudo. La fine del semestre di presidenza Ue e, soprattutto, il ruolo di «copertura» assunto dal Quirinale, che in più di un'occasione gli ha tolto le castagne dal fuoco.

L'assemblea del partito che si apre oggi all'hotel Parco dei Principi più che un vero «redde rationem» con la minoranza interna - anzi: «Un thriller perché lui decide di notte... Ma io ho nulla da perdere», sfida Pippo Civati - sarà l'ennesima occasione per misurare la temperatura interna. Già da febbre alta, a giudicare dalla tempestosa seduta di ieri in commissione Affari costituzionali, nella quale la minoranza ha dato battaglia. Un'animatissima riunione con il capogruppo Speranza ha visto volar gli stracci, con urla che si udivano nei corridoi. Se la sinistra interna conveniva di evitare «brutte figure» al governo, restava però intenzionata a non cedere di un millimetro. Fino al punto che otto deputati hanno chiesto di essere sostituiti nelle votazioni agli emendamenti sulla riforma del Senato (tanto per spuntare un'arma brandita dai renziani dopo il voto di mercoledì che li ha visti «andare sotto»). Rosy Bindi, Cuperlo, D'Attorre e Agostini sono quindi restati chiusi nella sala in segno di dissenso anche quando sono ricominciati i lavori in commissione. La protesta è in parte rientrata, anche se la mediazione non è piaciuta alla Bindi, che non ha partecipato ad alcune votazioni, né alla Pollastrini, che si è detta pronta a «chiedere d'esser sostituita». In serata è stato poi approvato l'emendamento che modifica il quorum per l'elezione del capo dello Stato: si conserva la maggioranza dei due terzi dei grandi elettori nei primi quattro scrutini; dalla quinta votazione si scende ai tre quinti dei grandi elettori e dal nono scrutinio il quorum è fissato ai tre quinti dei votanti.

Così, nell'assemblea di oggi Renzi rivendicherà con orgoglio il lavoro svolto e ancora una volta farà votare un documento che impegni il Pd a proseguire sulle riforme («Non è che ognuno fa come gli pare», insistono i renziani). Ma ancora una volta si tratterà di vittoria scontata, poco influente sulle mosse future. Restando giusto un «alibi» mediatico rispetto a chi non si è mai riconosciuto - e non comincerà certo domani - nella linea del leader. Il quale già ha messo in conto la scissione nel caso in cui - approvato l'Italicum con Berlusconi - la situazione suggerirebbe l'unica scappatoia delle urne anticipate a marzo.

Il canovaccio è talmente manifesto da costituire per Renzi tentazione crescente, e da consentire alla minoranza di ribaltarlo in minaccia. «Se Renzi continua così - dice Civati - un partito a sinistra del Pd si costituirà. Non per colpa o responsabilità nostra». Civati gioca di sponda con Vendola, che sogna di fungere da «catalizzatore» del grande magma in incandescenza a sinistra e non vede l'ora di potersi strutturare. «Se il Pd scappa via dalla sinistra, la sinistra non può che scappar via dal Pd», argomenta il capo di Sel che a fine gennaio chiamerà a raccolta il popolo di sinistra.

Resta il problema della colpa di una scissione, che nell'elettorato pidino ha sempre un peso. «Non me ne vado con infamia da scissionista», si affretta a precisare Civati per il quale si tratterebbe solo «della presa d'atto di una differenza». L'ottimismo, recita intanto uno dei proclami del premier, «è non lasciare il futuro ai nostri avversari ma rivendicare a sé il futuro con coraggio».

Guanto di sfida mica male, per il partito con il grande futuro già tutto alle spalle.

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