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Fronte catalano spaccato. Addio all'autonomia e rischio nuove elezioni

Lite in aula tra i due partiti indipendentisti E l'estrema sinistra nega i suoi voti decisivi

Fronte catalano spaccato. Addio all'autonomia e rischio nuove elezioni

Barcellona Alle 17.45 Elsa Artadi, portavoce dell'esecutivo della Catalogna, s'affaccia nella sala stampa col volto cinereo per comunicare che «bisognerà fare il doppio dello sforzo per trovare subito un'alleanza con un altro gruppo, anche non indipendentista. Intanto cerchiamo di mantenere la normale attività legislativa». I due gruppi indipendentisti che tengono in piedi la Generalitat hanno appena rotto tra un'eco di fischi da stadio, la maggioranza parlamentare è saltata. Ed è tutto da rifare per la lunga strada verso la secessione da Madrid.

A dieci mesi dalle elezioni dello scorso 21 dicembre, imposte da Madrid, dopo l'autunno caldo dei separatisti, il caos politico torna sugli scranni catalani. La rottura tra JxCat ed Erc è arrivata quando la corrente politica di Carles Puidgmont (JxCat), durante la votazione con il plenum per ribadire il processo per l'indipendenza, ha proposto/imposto la validità dei voti di tre loro parlamentari detenuti in carcere, (Jordi Turull, Josep Rull e Jordi Sànchez), assieme a quello del presidente esiliato a Bruxelles. Erc, che ne ha altri quattro in prigione, tra cui l'ex vicepresidente catalano e segretario del partito, Oriol Junqueras, si è opposta, assieme a Ciutadanos e al Partido Popular, disintegrando in cinque minuti il fortino indipendentista.

Quattro voti che non sono andati proprio giù all'ex alleato, la rancorosa Sinistra Repubblicana Comunista di Catalogna che mai ha digerito la fuga di Puidgemont all'estero, mentre Junqueras si consegnava ai giudici di Madrid. Inoltre, i quattro parlamentari eletti a dicembre 2017 da tempo sono stati sospesi da ogni incarico pubblico dal Tribunale Supremo di Spagna che, a breve, dovrà processarli per le imputazioni di ribellione, sedizione, disobbedienza e utilizzo improprio di denaro pubblico a fini elettorali (referendum del 2017).

La rottura di ieri pone il governo catalano indipendentista in una situazione precaria e rende ingovernabile la Catalogna, nonostante le promesse agli elettori del presidente Quim Torra e del vice Pere Aragonès di stringere i denti fino al termine della legislatura e fino alle sentenze dei politici separatisti in attesa di giudizio. In caso di condanna (come è quasi certo) Torra sfrutterà l'esplosione di malcontento del popolo separatista per stravincere le lezioni in primavera. Ma se i tempi delle sentenze dovrebbero allungarsi, allora la Generalitat crollerà. E sarà il ribaltone.

Intanto il popolo indipendentista si sente tradito e si organizza per scendere in strada. I presunti due milioni di voti, senza censo, del referendum del 2017, ora non hanno più alcun senso.

Rimane il ricordo delle bastonate della Policia ai seggi.

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