Politica

Il fronte contro l'Italicum ora mette paura a Renzi

Senza l'appoggio di Forza Italia il cammino delle riforme è a rischio. Minoranza Pd e Scelta civica preparano le barricate in Aula

Il fronte contro l'Italicum ora mette paura a Renzi

Roma - Ora che Silvio Berlusconi dichiara rotto il Patto del Nazareno e minaccia il ritorno all'opposizione anche sulle riforme, la minoranza del Pd torna a guardare con simpatia al Cavaliere. Come ad un potenziale alleato che, togliendo una sponda a Renzi, aumenta il potere di veto dell'ala anti-renziana.

A mettere in discussione l'Italicum, che a marzo sarà all'esame di Montecitorio, sono sia la sinistra Pd che gli alleati di Scelta Civica, che hanno il dente avvelenato con Palazzo Chigi dopo la «defezione» di un consistente gruppo di suoi parlamentari entrati nel Pd. Il neo-segretario Enrico Zanetti, eletto ieri dal congresso, ha chiesto di ridiscutere la legge elettorale che «così com'è non è utile al Paese», anche perché - grazie al premio di lista - incentiva quella che chiama «l'Opa ostile» del Pd su Scelta civica. Ma anche Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro ed esponente della sinistra Pd, sfida Renzi: ci hai sempre detto che era Berlusconi a imporre i capilista bloccati, è il ragionamento, ma se il Patto è saltato l'alibi non c'è più. Quindi «Renzi, se è coerente, non farà fatica ad accettare una correzione, aumentando il numero dei parlamentari eletti per farli diventare maggioritari rispetto a quelli nominati».

Intanto l'ala bersaniana prepara la battaglia sulla riforma del Senato, su cui da domani riprende l'esame alla Camera, e presenta due emendamenti che chiedono l'esame preventivo di costituzionalità da parte della Consulta prima dell'entrata in vigore della legge elettorale, nella speranza di bloccare sul nascere l'Italicum. «La minoranza Pd, almeno 90 deputati, è compatta e potrebbero arrivare anche i voti di Movimento 5 Stelle, Sel e fittiani di Fi: non vedo come il governo possa opporsi a questa modifica», spiega l'autore dell'emendamento, Alfredo D'Attorre. In verità sulla questione è in atto un tentativo di mediazione tra l'ala «dialogante» della minoranza Pd, guidata dal capogruppo Roberto Speranza, e Palazzo Chigi. «Ci può essere l'interesse del governo a concordare un percorso di modifiche su alcuni punti spinosi, dalle riforme all'Italicum al Jobs Act, per compattare il Pd e garantire i numeri in Parlamento anche se Forza Italia fa saltare il tavolo», spiegano dalla sinistra Pd. Ma Renzi non sembra disposto a grandi concessioni, tanto meno sulla legge elettorale: «Vedrete che sull'Italicum Berlusconi non tornerà indietro, perché non ha alcun interesse a cambiarne l'impianto: sa benissimo che abbiamo i numeri per introdurre i collegi uninominali, ed è l'ultima delle cose che vuole», spiega ai suoi. Quanto alla riforma del Senato, il premier è più pessimista: «È probabile che tenterà di silurarla. Ma è sicuro di riuscire a tenere tutti i suoi parlamentari sulla linea dura?», si chiede. Se la minoranza Pd spera di costringerlo ad una trattativa al ribasso, insomma, «ha sbagliato i suoi conti, andremo avanti sulla linea già tracciata».

L'unica concessione che il governo può fare è sul controllo preventivo di costituzionalità: «Nessun problema: siamo certi che la Consulta darà via libera all'Italicum», assicura il renziano David Ermini. I bersaniani dovranno accontentarsi: del resto, si fa notare al Nazareno, la battaglia contro i capilista bloccati è un falso obiettivo: «La minoranza Pd ha il problema far rieleggere i suoi. Ma non lo risolvono né con le preferenze né con i collegi, visto che le candidature le decide la Direzione nazionale, a maggioranza renziana, su proposta delle segreterie regionali».

E anche nelle storiche roccaforti elettorali, come la Toscana o l'Emilia, la «Ditta» ex Pci ha ormai perso il controllo del partito.

Commenti