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Il fronte del voto posticipato spaventa Matteo. Parte l'offensiva dei suoi: «Urne a giugno»

Zanda dà la scadenza all'esecutivo e chiude al proporzionale. L'ira di Forza Italia

Il fronte del voto posticipato spaventa Matteo. Parte l'offensiva dei suoi: «Urne a giugno»

Roma - Il timore che si compatti il fronte di chi non vuole andare a votare a giugno, non fa dormire sonni tranquilli a Matteo Renzi. L'ex premier è preoccupato. E si vede dall'offensiva che sta preparando con i suoi per frenare l'ipotesi di un ritorno al proporzionale, ribadendo il sostegno del Pd al Mattarellum. La mossa fa infuriare Forza Italia, per nulla d'accordo sulla possibilità che il partito di Renzi possa dettare la linea nella discussione sulla nuova legge elettorale.

Il capogruppo del partito in Senato, Luigi Zanda, viene mandato in avanscoperta quando la squadra Gentiloni non è ancora al completo. Mancano ancora viceministri e sottosegretari, ma il capogruppo del partito in Senato è già in grado di dire a Repubblica che il governo «avrà vita breve», durerà giusto il tempo di portare il Paese alle elezioni. E niente proporzionale. «Ci allontanerebbe dall'Europa - spiega - e ci porterebbe ai governi tri-quadri-pentapartito, che hanno prodotto i duemila miliardi di debito pubblico». Zanda tifa per il Mattarellum, anche perché un ritorno al proporzionale allungherebbe i tempi del dibattito e difficilmente si andrebbe a votare a giugno, come vuole Renzi e anche Matteo Orfini: «Giugno è la data limite per il voto oltre la quale non si deve andare», dice il presidente del Pd in un'intervista a La Stampa.

Ma Forza Italia non ci sta. Paolo Romani, omologo di Zanda a Palazzo Madama, replica così alle trame pieddine, ricordando al partito di Renzi che dopo la schiacciante vittoria del No al referendum non è nelle condizioni di decidere nulla: «Siamo di fronte ad un sistema tripolare in cui il Mattarellum non può garantire piena governabilità e rappresentatività. Si deve partire dalle parole di Mattarella. Il presidente chiede una legge elettorale che prenda atto della sentenza della Consulta prevista per il 24 gennaio, che sia omogenea tra i due rami del Parlamento e che trovi condivisione anche oltre il perimetro della maggioranza di governo». Anche Maurizio Gasparri ricorda a Zanda che «la legge elettorale deve essere concordata tra le principali forze politiche». «Le forzature che il Pd renziano ha tentato in ogni direzione - osserva il vicepresidente del Senato - si sono tradotte in una clamorosa sconfitta. Zanda fatica a metabolizzarla e parla ancora dei miracolosi effetti che avrebbe prodotto la fallita riforma costituzionale di Renzi». Invoca «ampie convergenze» in Parlamento il senatore azzurro Renato Schifani, il quale auspica «modelli elettorali che privilegino fortemente la coerenza tra voto popolare e sua rappresentanza politica per consentire al nostro Paese di isolare ogni forma di estremismo al governo». «La nettissima sconfitta del Pd al referendum - attacca Deborah Bergamini - non sembra aver indotto i democratici a più miti consigli. Credono di avere ancora la golden share anche sulla riforma elettorale, ma si sbagliano di grosso».

Anche il senatore Fi Lucio Malan invita Zanda a prendere atto della vittoria del no: «Sulla legge elettorale occorre un dialogo vero e non l'ennesimo colpo di maggioranza».

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