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La fuga per uccidere ancora fermata dalle telecamere

MilanoPistola carica in tasca, in sella al suo scooterone, il «giustiziere» sta correndo verso Carvico, nella Bergamasca, per l'ultimo appuntamento: un socio con cui regolare i conti, come aveva appena fatto con gli altri «nemici». Un equipaggio dei carabinieri sbucato dal nulla gli taglia la strada, i due militari, giubbetto antiproiettile e mitra i mano, balzano dall'abitacolo: «Una mossa e sei morto». Claudio Giardiello alza le mani e si fa ammanettare, mettendo fine alla caccia all'uomo iniziata un'ora.

Mancano pochi minuti a mezzogiorno quando finalmente in città, arriva così il «cessato allarme» fermando la frenetica ricerca per gli uffici del Tribunale, della vicina Corte d'Appello e le strade attorno ai due uffici giudiziari. L'allarme infatti era scattato subito dopo la sparatoria ma in quel caos, con le detonazioni che ancora rimbombavano e la gente in fuga, l'assassino aveva avuto tutto l'agio di uscire indisturbato. Ma nessuno poteva sapere se fosse ancora dentro e in qualche stanza potesse essersi rintanato. Così in breve l'edificio era diventato un alveare.

Carabinieri, poliziotti, agenti penitenziari, finanzieri avevano estratto le armi e dopo aver fatto rientrare magistrati, impiegati, avvocati, testimoni e imputati negli uffici e nelle aule iniziavano la «bonifica» del monumentale edificio. A cui via via si aggiungevano altri rinforzi fatti convergere in tutta fretta. Fatte uscire le donne (lo sparatore era maschio), le stanze venivano controllate uno dopo l'altra da agenti con il giubbetto antiproiettile. Seguendo le più fantomatiche segnalazioni. «L'ho visto, è uscito, correva di là». Cioè verso la attigua Corte d'Appello. Una dozzina di poliziotti e carabinieri armati correvano verso l'altro edificio, nel dubbio l'assassino avesse nel mirino altri magistrati. Passata al setaccio, la palazzina si rivelava però «pulita».

Nel frattempo però l'assassino era già stato identificato, individuando l'abitazione della famiglia e quella dove era andato a vivere dopo la separazione. Due indirizzi dove andavano ad appostarsi i carabinieri nel dubbio potesse cercarvi rifugio. Ma anche, particolare che si rivelerà vincente, la targa dello scooterone con cui era solito muoversi. Un dato trasmesso a tutte gli equipaggi di polizia e carabinieri ma anche ai comuni come Brugherio, paesone della Brianza a una ventina di chilometri da Milano, dotati di un sistema di video sorveglianza collegato con le forze dell'ordine. Così poco prima di mezzogiorno sul cellulare del comandante della stazione dei carabinieri arrivava la segnalazione del passaggio della moto e la sua direzione. Da Vimercate partono alcuni equipaggi per tagliargli la strada, uno di questi riesce a intercettarlo, poco fuori il paese, nei pressi di un centro commerciale. L'equipaggio lo sorpassa e gli taglia la strada. I due carabinieri sanno che l'uomo è armato, ha già ucciso e, si ricostruirà dopo, vuole completare l'opera andando a uccidere l'altro socio, Massimo D'Anzuoni, che vive nella Bergamasca. Ma agiscono con grande professionalità senza dargli il tempo di reagire. «Un gesto e sei morto». Giardiello alza le mani. I militari gli sono addosso, lo stendono a terra, lo ammanettano, gli sfilano la pistola, e 17 colpi a disposizione. Fermato appena in tempo. A Carvico abita il socio di una delle tante sue società fallite, Massimo D'Anzuoni, ritenuto responsabile del suo tracollo economico.

Che deve «pagare», anche lui, come gli altri.

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