Politica

Gay pride a gamba tesa sul sindaco di Roma: «Giachetti, sposaci tu»

Dopo le Olimpiadi scontro sugli omosessuali Ecco perché Raggi strizza l'occhio ai cattolici

I gay ci sperano e lo dicono in tutte le salse, in tutte le lingue. Lo scrivono sugli striscioni: «Sposaci, Matteo. Sposaci, Giachetti». Tirano la volata al candidato pidino per il Campidoglio in qualità di ex radicale, certo, ma anche (forse soprattutto) di renziano di ferro. Matteo, dicono, almeno una legge sulle unioni civili l'ha fatta. «Tutto si può ancora migliorare, soprattutto i diritti dei figli e le adozioni, ma intanto oggi sfiliamo con un diritto in più, la legge sulle unioni civili. Sul nostro carro anche l'invito al prossimo sindaco di Roma a sposarci. E il primo matrimonio lo celebri Renzi».

Così chiede il Gay Center, e così pure il Gay pride 2016 ha trovato la sua strada, il suo quarto d'ora di notorietà, con un aperto appoggio per le Comunali romane, e l'approdo del corteo di migliaia di omosessuali, lesbiche, transgender (Lgbti, per tagliare corto), 700mila dicono gli organizzatori, finisce proprio nella piazzetta ai piedi del Campidoglio, simbolico traguardo della richiesta che pare ormai travolgere il senso comune (anche qualche assodata certezza in fatto di trasgressione). «Sposaci, Renzi. Sposaci Roberto»: sono qui da basso e vogliono essere «sposati», quasi fosse questo del pubblico riconoscimento il coronamento unico e indispensabile alla libertà e al rispetto per qualsiasi orientamento maturo in fatto di sesso. Ma c'è un quid in più, stavolta, al di là della questione matrimoniale che tanto preme. È la voglia di assestare un dispettoso e cocciuto schiaffo a Virginia Raggi, candidata grillina in vantaggio, cattolica, semplice avvocato dai gusti ordinari anzi banali in fatto di sesso (un marito, un figlio), nessunissima voglia di impiccarsi all'albero scivoloso dei diritti Lbgti. Illuminante una sua intervista al quotidiano Avvenire, nella quale dichiarava la sua contrarietà alla maternità surrogata, in qualche modo anche alle adozioni di coppie gay (per le quali vorrebbe un referendum), e la convinzione di non cancellare il registro delle unioni civili istituito dal sindaco Marino, vero rompighiaccio sull'argomento, ma solo perché «non ne vedo la necessità». La Raggi sostiene la parità di diritti in campo amministrativo, senza alcuna concessione in più, alcuna fuoriuscita da una logica di comune (e legale) buonsenso. Ma c'è dell'altro, perché la grillina è incorsa nel reato di «lesa gaytudine» quando non ha accettato un invito al Gay Village per confrontarsi con Giachetti e Fassina. Scelta che ha reso isterica Vladmir Luxuria e fatto arrabbiare Imma Battaglia. Più che per Giachetti, gli endorsement di entrambi sono anti-Raggi: «Sicuramente non la votiamo... Nel programma M5S sono stati tolti tutti i riferimenti ai diritti dei gay, si parla solo di tolleranza nei confronti delle diversità: di certo non una frase molto felice da leggere». Luxuria ha già insinuato il sospetto che la grillina «occhieggi al centrodestra e ai cattolici più reazionari».

Forse ce n'è già abbastanza per sostenerla, senza essere per forza né l'uno né l'altro.

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