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Gentiloni all'oscuro, il gelo di Mattarella

Il premier non sapeva del blitz alla Camera. E il Colle prende le distanze

Gentiloni all'oscuro, il gelo di Mattarella

Roma - È duplice il dato politico della imbarazzante vicenda accaduta ieri che ha trascinato anche la Banca d'Italia nella bassa cucina del provincialismo renziano. Da una parte, infatti, l'obiettivo del segretario Pd ala vigilia delle elezioni non è solo quello (fanno sapere gli aficionados del leader) di «non assumersi la responsabilità» della riconferma di Visco, attribuendogli soprattutto la colpa di non aver salvato Banca Etruria il cui vicepresidente era papà Boschi. Una sortita che danneggia non solo l'istituzione tenuta a difendere le prerogative italiane nell'ambito dell'Eurosistema (in un momento nel quale la Germania preme per una nuova stretta sui crediti in sofferenza), ma che è anche effettuata in modo discutibile. «Io non ho un ruolo in questa vicenda», ha detto il leader piddino come se i suoi deputati avessero seguito chissà quale ispirazione.

C'è di più. Renzi ha iniziato il bombardamento nei confronti di Palazzo Chigi, smarcandosi dal premier Paolo Gentiloni nella maniera più violenta e offensiva visto che non si è peritato nemmeno di avvisarlo della mozione-bomba. Anche questa è una mossa elettorale: la bonomia gentiloniana, dopo i mille giorni frenetici di Matteo, toglie visibilità e respiro all'azione del segretario. Gentiloni ora è un ingombro e Renzi ha cercato di fargli capire che, se occorresse, sarebbe pronto a scaricarlo.

Il secondo dato politico è che il Quirinale (per quanto Mattarella sia molto meno «intervista» e più rispettoso del mandato costituzionale rispetto al predecessore) è altrettanto disposto a usare le maniere forti quando viene messo in discussione l'apparato delle istituzioni. Una fermezza che è valsa tanto quando Renzi è stato respinto con perdite nei vari tentativi di ottenere elezioni anticipate quanto nell'entrata a gamba tesa sulla riconferma di Visco. La «piena fiducia» confermata al governatore da Gentiloni quest'estate era un'attestazione condivisa con il Colle. Allo stesso modo, è sempre stato Mattarella a respingere il tentativo di avvicendare l'attuale inquilino numero uno di Palazzo Koch con l'economista renziano Marco Fortis.

Insomma, se la Banca d'Italia non è diventata una «municipalizzata» renziana come molte controllate dal Tesoro lo si deve non solo all'autorevolezza di Via Nazionale (testimoniata dalla presenza del presidente Bce Draghi alle ultime Considerazioni finali), ma anche al presidente della Repubblica. Certo, considerato che il Consiglio dei ministri sulla legge di Bilancio non ha avviato l'iter per la riconferma di Visco sebbene manchino due settimane alla scadenza del mandato, nei prossimi giorni ripartirà il solito toto-nomine (anche se una rimozione suonerebbe come una sconfessione di quanto accaduto ieri).

In ogni caso, dovrebbe prevalere la tradizione di autonomia con la scelta di «interni» come il direttore generale Salvatore Rossi, il vicedg Fabio Panetta o il componente della Vigilanza Bce, Ignazio Angeloni.

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