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Gentiloni, l'usato sicuro per riunire la sinistra e archiviare l'era Renzi

Il premier dimissionario vola nei sondaggi. Martina: da rivedere la politica sul lavoro

Gentiloni, l'usato sicuro per riunire la sinistra e archiviare l'era Renzi

In una temperie tanto burrascosa, l'azione pacata e i toni rassicuranti di Paolo Gentiloni sono un balsamo irrinunciabile. Soprattutto per i militanti del Partito democratico. Mentre Salvini e Di Maio faticano a trovare il «terzo uomo» che li sostituisca a Palazzo Chigi, la base del Pd ha già deciso chi vorrebbe al timone della malconcia corazzata del Nazzareno. L'ultimo sondaggio proposto dall'Istituto Ixè fa dire a Roberto Weber che se è Matteo Salvini il leader con il maggior consenso nell'opinione pubblica, le quotazioni del premier dimissionario sono in costante e significativa crescita. Per descrivere questo risultato Weber usa una formula molto significativa che val la pena citare. «Renzi - scrive il presidente dell'istituto Ixè sull'Huffington Post - rimane al punto più basso (un 18% che corrisponde al gradimento di sei elettori del Pd su dieci), mentre il 36% di Gentiloni lascia intuire che vi sono nei pressi dell'area del partito democratico, ma non solo, potenziali di gradimento inutilizzati». Insomma a pochi giorni dall'assemblea del partito (in programma sabato all'hotel Ergife di Roma), la carta Gentiloni potrebbe divenire un asso nella manica. Anche perché se è vero che una sua segreteria sposterebbe il baricentro del partito, risulterebbe meno indigesta per l'ala renziana rispetto al programma avanzato dall'unico, al momento, candidato ufficiale per il dopo Martina, vale a dire lo stesso ministro dell'Agricoltura.

Ai più fedeli compagni di Renzi, infatti, non vanno giù alcuni temi già lanciati da Martina per l'assemblea e per il lavoro di preparazione del prossimo congresso. Intervistato da Repubblica Martina parla di superamento delle correnti per ritornare a un dibattito di idee e valori. E, per fare qualche esempio, punta il dito in maniera ovviamente velata ma riconoscibile contro il Job act. «Il partito - spiega - deve ripartire innanzitutto dalle disuguaglianze, dalla nostra idea di giustizia per un nuovo patto sociale che coniughi crescita economica e integrazione sociale, ricomponendo la frattura tra sviluppo e lavoro». Frattura che con tuta evidenza le riforme del gabinetto Renzi non sono riuscite a guarire.

A stretto giro ieri è arrivata la replica del presidente del partito Matteo Orfini. Intervistato dal Barbara D'Urso a Domenica live su Canale 5 ha detto che le responsabilità sono collettive. Il partito ha assunto una linea in maniera collegiale e quindi le scelte, anche di politica del lavoro, erano state spinte da tutti. La grande occasione, a questo punto, è rappresentata proprio dalla politica di opposizione che si annuncia da qui in avanti contro il governo più a destra degli ultimi dieci anni. Il senatore Ernesto Patriarca ne è sicuro: «Lega e 5 Stelle non aiuteranno le classi povere - dice - e sicuramente non serviranno allo scopo il reddito di cittadinanza o la flat tax».

Insomma sembra si voglia ripartire con il volto rassicurante di Gentiloni e con una politica virata decisamente a sinistra, sempre che Renzi lo permetta.

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