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Gentiloni si tira fuori d'impaccio: Il giudizio spetterà a Moscovici

I ritardi nella partenza dell'esecutivo von der Leyen evitano all'ex premier scontri con i falchi o con il Pd

Gentiloni si tira fuori d'impaccio: Il giudizio spetterà a Moscovici

«Non vedo l'ora di cominciare», ha assicurato solo un paio di giorni fa, dopo l'incontro a Bruxelles con il presidente uscente della Commissione europea Jean Claude Juncker.

Eppure - anche se ovviamente non lo ammetterà mai - per Paolo Gentiloni deve essere un bel sollievo non doversi occupare della manovra rossogialla partorita dal secondo governo Conte. Dopo l'ufficializzazione del rinvio (a data da destinarsi, presumibilmente ai primi di dicembre) del voto «di fiducia» del Parlamento europeo alla nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, è chiaro infatti che saranno i commissari in scadenza, e non i nuovi, a fare le pulci ai conti italici. Toccherà ai veterani Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis firmare la lettera con cui, a giorni, si chiederanno chiarimenti al governo di Roma sui numeri più opachi messi a bilancio, e formulare poi il parere definitivo sul documento. Togliendo così il neo titolare degli Affari economici europei dall'imbarazzo di dovere, appena insediato, promuovere (o, in via ipotetica, bocciare) la traballante manovra firmata anche dal suo partito.

Con l'Italia che resta osservato speciale, e che deve come al solito pietire «flessibilità» in sede Ue per continuare a spendere a debito, il rischio era quello di attirarsi comunque critiche e sospetti: in patria in caso di severità, nelle capitali più rigoriste in caso di benevolenza. Non a caso, nell'«esame» a tutto campo cui è stato sottoposto dal Parlamento europeo (e da cui Gentiloni è uscito promosso a pieni voti), l'interrogatorio più insidioso ed insistente è stato quello relativo al suo futuro atteggiamento rispetto al lassismo contabile italiano: «Il nuovo governo sembra intenzionato ad aumentare il deficit anche il prossimo anno. Non ritiene che le regole vadano rispettate anche quando si tratta dell'Italia?», aveva attaccato il falco del Ppe tedesco Markus Ferber. Il neo commissario Gentiloni se la era cavata con eleganza: «La manovra italiana ancora non c'è, la bozza arriverà tra 12 giorni qui a Bruxelles», aveva sottolineato. «In ogni caso darò a quel documento esattamente la stessa attenzione, lo stesso atteggiamento di dialogo e la stessa serietà che applicherò alle altre Finanziarie. Voglio essere molto chiaro su questo punto: non sarò il rappresentante di un singolo governo, ma sarò commissario dell'Unione europea». Si vedrà nel 2020, però.

Ora la manovra è arrivata, ma non c'è ancora alcuna pronuncia ufficiale: «Ci stiamo lavorando», ha detto ieri Dombrovskis: «Non posso saltare a conclusioni prima che la valutazione sia stata fatta». I mugugni ufficiosi, però, sono già molti e i punti critici già rilevati, come rivelava ieri un retroscena de Linkiesta, sono almeno tre: «Deficit strutturale troppo alto, mantenimento di misure che aumentano la spesa corrente senza visione futura come quota 100, promesse poco credibili sulla lotta all'evasione fiscale». Gli svariati miliardi di coperture derivanti da future privatizzazioni, tagli di spesa e evasione fiscale appaiono quanto meno aleatorie. Ma agli occhi dei nostri partner europei è ancora meno comprensibile la ragione per cui il nuovo esecutivo ha conservato in toto le misure assistenzialiste, improduttive e costosissime che avevano caratterizzato il governo grillo-leghista precedente, facendo sballare i conti di qui ai prossimi anni: il reddito di cittadinanza di Gigino Di Maio e la Quota 100 di Matteo Salvini.

Abolendo almeno quest'ultima misura, si fa notare a Bruxelles, si otterrebbe un risparmio di ben 17 miliardi, cifra molto più consistente della solita «flessibilità» che il governo Conte implorerà dalla Ue.

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