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Gentiloni: "Con la strage del tir ora anche l'Europa sa"

Da Obama a Ban Ki Moon, ora la comunità internazionale bacchetta l'Ue. Sarà la volta buona?

Gentiloni: "Con la strage del tir ora anche l'Europa sa"

"La strage del tir ha convinto tutti: fino a poco tempo fa c’era l’idea che fosse solo un’emergenza italiana e greca. nelle ultime settimane si è diffusa la consapevolezza che il problema investe l’Europa intera". Ne è convinto Paolo Gentiloni, sicuro che questa volta i morti serviranno a svegliare le coscienze dei "falchi" dell'Unione europea.

"Nelle ore in cui si scopriva la tragedia ero a Vienna, per un vertice di Europa e Balcani. Bastava guardare in volto i colleghi per capirlo: siamo tutti coinvolti", ha detto il ministro a Repubblica, "Negli ultimi due mesi la percezione è cambiata in modo significativo. Anche governi che avevano resistito al principio della distribuzione dei rifugiati, come quelli di Austria e Slovenia, stanno modificando le posizioni". Per il titolare della Farnesina bisogna seguire la strada tracciata dal premier Matteo Renzi e dal cancelliere tedesco Angela Merkel: "La democrazia, la civiltà e l’economia europea non possono essere ostaggio di minoranze di destra, o dell’idea che chi cavalca la paura possa incassarne i dividendi elettorali", ha aggiunto, "Ci sono tre passi molto semplici che l’Europa deve fare: 1) prendere consapevolezza del carattere permanente - per almeno 10/15 anni - e da certi punti di vista persino necessario delle migrazioni, che ovviamente vanno regolate; 2) lavorare sulle cause: a novembre ci sarà un vertice a Malta di Europa e Africa per mettere in pista investimenti e progetti nei Paesi di transito e in quelli in crisi; 3) cambiare registro sulle regole e sulle politiche di accoglienza".

In particolare, secondo Gentiloni, è necessario mettere mano a "norme concepite 25 anni fa", come il Trattato di Dublino, "introducendo gradualmente un concetto rivoluzionario: i migranti non entrano più in Italia, in Grecia, in Ungheria, o dove la geografia o la sorte li fanno arrivare, ma in Europa", spiega, "E questo vuol dire che serve in prospettiva un diritto d’asilo europeo valido per tutti i Paesi. Dev’essere l’Unione a definire quali sono i Paesi cosiddetti sicuri, e quali invece quelli alla cui popolazione è garantita una tutela internazionale. Per esempio, i rimpatri devono essere gestiti a livello europeo.

E ovviamente che ci vuole equilibrio nella distribuzione dei rifugiati, senza il quale la maggior pressione potrebbe spostarsi dai Paesi di primo arrivo come Italia e Grecia ai Paesi dove il welfare è più generoso, come Svezia o Germania".

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