Coronavirus

Gimbe teme la seconda ondata di contagi "Non possiamo reggere un altro lockdown"

Rischi da ridurre al minimo perchè il virus è ancora vivo: "Giusto riaprire per rilanciare l'economia, ma il pericolo è sempre lo stesso"

Gimbe teme la seconda ondata di contagi "Non possiamo reggere un altro lockdown"

Attenzione a non abbassare la guardia, adesso che le misure restrittive sono state revocate e stiamo riassaporando la libertà. Il mantra degli epidemiologi lo ribadisce anche la Fondazione Gimbe.

Il think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario lancia l'allarme sulla necessità di ridurre al minimo i rischi in questa fase dai dati incoraggianti che possono indurre a pensare che il Covid-19 non sia più un pericolo, mentre in realtà non è così. Una seconda ondata è sempre possibile e il Paese non sarebbe in grado di reggerla, mette in guardia la Fondazione, sottolineando che «le improrogabili riaperture si basano su dati relativi a 2-3 settimane fa». Ma non solo. In occasione della fase 3 sono stati analizzati i dati ufficiali, gli strumenti di monitoraggio e il livello di rischio per valutare se le azioni messe in campo dal governo e dalle regioni sono adeguate a fronteggiare il pericolo di un'eventuale risalita del contagio. La Fondazione lamenta la mancanza di un sistema di monitoraggio unico tra le regioni. I dati disponibili sono quelli relativi all'andamento delle singole regioni e i valori Rt contenuti nell'ultimo bollettino epidemiologico dell'Iss, ma non sono pubblici quelli relativi ai 21 indicatori previsti dal decreto del 30 aprile del ministero della Salute. Inoltre nel report del 26 maggio l'Iss riporta che il valore di Rt è calcolato al 10 maggio, ribadendo che il consolidamento dei dati richiede 2 settimane e che gli altri indicatori sono relativi al periodo 11-24 maggio. «In altre parole - si legge nel rapporto Gimbe - l'impatto delle riaperture del 18 maggio sulla curva dei contagi non può ancora essere verificato e quello delle riaperture del 3 giugno sarà valutabile non prima di 2 settimane».

Fondamentale, per evitare una seconda ondata, la strategia delle 3T (testing, tracing, treating) per identificare il maggior numero di casi di infezione. Ma secondo lo studio, nelle ultime due settimane la percentuale dei tamponi diagnostici non solo non è stata potenziata, ma si è ridotta mediamente del 6 per cento, seppur in misura variabile tra le regioni.

«Dai dati disponibili - spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione - emergono tre ragionevoli certezze: innanzitutto, il via libera del 3 giugno è stato deciso sulla base del monitoraggio relativo a 2-3 settimane prima; in secondo luogo l'attitudine alla strategia delle 3T è molto variabile tra le regioni e non esistono dati sistematici sugli screening sierologici; infine, rispetto al battage mediatico della fase 1, la comunicazione istituzionale si è notevolmente indebolita, alimentando un senso di falsa sicurezza che può influenzare negativamente i comportamenti delle persone». La Fondazione ribadisce la necessità di non abbassare la guardia perché il Paese non può permettersi nuovi lockdown.

«Se l'improrogabile scelta di riaprire per rilanciare l'economia si è basata solo sull'andamento dei ricoveri e delle terapie intensive - denuncia Cartabellotta - è giusto dichiararlo apertamente ai cittadini con un gesto di grande onestà e responsabilità politica».

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