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Il gioco d'azzardo del Pd: subito il voto, poi la manovra

Per le urne a settembre Renzi «sposa» il sistema tedesco ma non si fida: gli altri devono garantire l'ok al Senato

Il gioco d'azzardo del Pd: subito il voto, poi la manovra

Chi pratica il tavolo verde lo sa bene: di rilancio in rilancio, di azzardo in azzardo, o si stravince o si va sul lastrico. Linea di confine segnata dal salterello di una biglia, dal ghigno che scopre un bluff, da una carta bislacca. Ma l'eccesso di furbizia no, non è consentito.

Spiazzato dall'ultima mossa di Berlusconi, Matteo Renzi sfoglia la sua margheritina al Costanzo Show, «per quelli della mia generazione è un onore», recita contentezza e serenità prima dell'immancabile selfie. È tutta la giornata che manda messaggi per ogni via, anche un po' contraddittori. Ai suoi ha assicurato che «il tedesco, con il 40 per cento, può diventare maggioritario, specie con la soglia di sbarramento alta». Mai così loquaci i suoi ascari, vicini e lontani. Si fanno congetture, si profilano scenari in Transatlantico. La verità è che del Rosatellum probabilmente non si berrà che un piccolo sorso, prima di svuotare le botti per un più robusto «proporzionale del Reno». Ma ancora non si può abbandonare la legge elettorale servita per l'ennesimo traccheggiare, per l'ultimo mercanteggiamento. Ieri la linea «calda» era quella tra i capogruppo Rosato e Brunetta, impegnati sulla questione tecnica di rendere «tedesco» il sistema proposto dal Pd e imposto come testo-base in virtù dell'ennesimo bluff. Basterà un solo «maxi» emendamento? E la maggioranza terrà, nel votare gli emendamenti proposti da Forza Italia (ci lavorano Brunetta e Occhiuto)? Certezze non ve ne sono, ma Renzi ammette in tivù che «abbiamo usato il Rosatellum, secondo me alla Camera i numeri potrebbe averli, però bisogna che gli altri ci dicano se li ha anche al Senato o no». Al Senato no, non ci sono. Il leader pidì non si fida per niente, e di nessuno. «Vediamo cosa chiedono gli altri, prima di martedì vogliamo fare incontri con tutti». Martedì è il giorno della Direzione, cui il segretario potrebbe chiedere il via libera al «tedesco» (la fronda interna di Cuperlo, Orlando ed Emiliano, sempre che riesca a varare un documento comune anti-inciucio, non preoccupa). Così sarebbe possibile il varo di una legge prima di luglio, «altrimenti non si fa più, e dovremo pensare a un decreto, ma nel quale non si potranno toccare le soglie», avrebbe detto Matteo ai suoi: un po' per spronarli, un po' perché si sapesse in giro. Con una legge pronta per l'uso, come si farebbe a non sparare il colpo delle elezioni a settembre? Questo l'ultimo azzardo: l'ipotesi mai abbandonata di una campagna elettorale tra gli ombrelloni pur di giungere all'appuntamento fatidico in contemporanea con la Merkel, il 24 settembre o al massimo a ottobre. Servirebbe a togliere varie castagne dal fuoco, sia personali (ieri solo lo scandalo Consip è sembrato togliere il buonumore a Renzi, che ha parlato di «qualcuno che ha fabbricato prove false» riferendosi ai Pm), sia legate a una propaganda azzoppata dalla manovra d'autunno che l'Europa chiede ben «sostanziosa» e cui Padoan già lavora. L'eventualità di un voto che rimandi la legge di Stabilità, mandando il Paese in «esercizio provvisorio» viene considerato da Renzi l'ultimo dei problemi: «In Germania e Austria si vota a settembre, mi pare che nessuno si sia posto questo problema». Presentate le basi della manovra, ci sarebbero cinque anni per garantire l'Ue, questo il ragionamento, da parte di un segretario appena rieletto e vittorioso alle urne. Certo, sempre che il gioco non scappi di mano.

E che l'apprendista stregone non esageri con le furbate, come in passato.

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