Cronache

Un gioielliere l'erede di Riina aveva ricostruito la Cupola

Con Settimo Mineo, preso insieme a 46 mafiosi, erano tornate le vecchie regole: "Si è fatta una bella cosa..."

Un gioielliere l'erede di Riina aveva ricostruito la Cupola

Ottant'anni ben portati, gioielliere, Settimo Mineo, capo mandamento di Pagliarelli, è l'erede di Totò Riina, il capo dei capi. Cosa nostra si era riorganizzata, designando il suo vertice. E lo Stato, attraverso i carabinieri del Comando provinciale di Palermo, coordinati dalla Dda di Palermo, ha mandato tutto per aria, sgominando la neo costituita Commissione provinciale di Cosa nostra palermitana. Le manette sono scattate per 46 fra boss e gregari ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni consumate e tentate, con l'aggravante di avere favorito Cosa nostra, e altri reati risultato di quattro distinti procedimenti penali. Sono usciti uno a uno dalla caserma mandando baci e strizzatine d'occhio ai familiari che in lacrime attendevano il passaggio. Oltre a Mineo, tra gli arrestati figurano tre componenti della Cupola: il rappresentante del mandamento di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni, del mandamento di Misilmeri-Belmonte, Filippo Salvatore Bisconti, e di Villabate, Francesco Colletti, tutti scarcerati di recente, dopo avere scontato condanne per mafia. Il colpo inferto è pesantissimo. Basti pensare che Cosa nostra non aveva più riunito la Commissione dall'arresto nel 93 di Riina, unico in potere di farlo. Un primo tentativo di riorganizzare il massimo organismo mafioso fondato negli anni '50 e deputato ad assumere le decisioni importanti, era già stato stroncato dai carabinieri, ma la mafia si era rialzata e la Cupola si è riunita lo scorso 29 maggio in un luogo rimasto segreto. «Si è fatta una bella cosa molto seria con bella gente Grande. Gente di paese, gente vecchia, gente di ovunque». Colletti parla al suo autista Filippo Cusimano, uomo d'onore, senza sapere di essere intercettato.

La nuova Cupola aveva ristabilito le vecchie regole di mafia, riportandole in una «cosa scritta» in cui viene sottolineato come i contatti fra i mandamenti debbano essere tenuti solo dai reggenti. «Nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri - dice Colletti - Perché là dentro, quando si decide una cosa, io non posso dire di no Siamo tutte persone perbene, tutti saggi, non ce ne deve essere timore quando si deve fare qualcosa cosa». Parole che fanno comprendere come la riunione abbia rappresentato lo spartiacque rispetto a Riina, che aveva bandito la «democrazia» assumendo potere decisionale. Altra regola a cui tiene Mineo è che ogni capo mandamento risponde dei suoi uomini. Lui è guardingo, non usa cellulari, incontra per strada le persone a cui deve parlare. «Lo zio Settimo è devoto» dicono di lui. E la sua è stata una vita dedicata a Cosa nostra, guadagnandosi pure la stima di Riina. Nel 1982 subì un agguato, in cui morì il fratello Giuseppe, e sei mesi prima era stato ucciso il fratello Antonino. Fu arrestato grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti e fu condannato a 7 anni nel primo maxi processo, ridotti in appello a 5 anni e 4 mesi. «Cado dalle nuvole» aveva risposto al giudice Giovanni Falcone che lo aveva fatto arrestare nel 1984. Mineo era tornato in cella nel 2006 e aveva scontato una condanna a 11 anni. «Con l'operazione odierna è stata disarticolata la nuova Cupola.

Emerge dalle indagini dice il colonnello Di Stasio, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo - come Cosa nostra sia ancora viva, arrivando a ricostituire l'organo collegiale Provinciale e continuando a controllare il territorio e gestire gli innumerevoli business».

Commenti