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Giordania, la folle esultanza per il killer liberato

Giubilo per l'uscita di cella anticipata di Ahmed Daqamseh che uccise 7 bimbe israeliane

Giordania, la folle esultanza per il killer liberato

È difficile non domandarsi in che cosa consista la pace fra Giordania e Israele firmata nel 1994 da Rabin e re Hussein quando si vedono le scene di entusiasmo della famiglia e della gente, i canti, gli slogan di odio e le caramelle per la liberazione di Ahmed Daqamseh, l'assassino di 7 bambine israeliane e feritore di altre 7, liberato anzitempo. Irbid suo paese natale, a nord di Amman, benché l'uomo sia stato rilasciato domenica alle due di notte, gli ha dedicato un'accoglienza trionfale. L'assassino giordano uccise col mitra d'ordinanza 7 bambine israeliane in gita ed è appena stato rilasciato con cinque anni di anticipo sui 25 anni che secondo la condanna all'ergastolo (sempre pari a 25 anni) avrebbe dovuto ancora trascorrere in carcere.

È l'incessante situazione di ambiguità e di sostanziale odio popolare che anche in un Paese in pace con Israele si seguita ad alimentare per compiacere l'opinione più bassa, sempre turbata dalla miseria e dall'estremismo, quella che certo con contribuisce al futuro di quello di uno dei Paesi meglio governati e meno estremisti grazie alla monarchia ashemita.

Mahmed Daqamseh era di guardia sul confine giordano insieme a altri militari in una bella giornata di marzo del 1997, la pace era vecchia di tre anni. Fu una tragedia scatenata dall'odio e dalla ribellione proprio alla pace: in un luogo scenografico, chiamato «Isola della Pace» a Naaraim sul fiume Giordano al confine fra i due Paesi, una classe di ragazzine di 13 anni si godeva la libertà della gita scolastica. Daqamseh impugnò il fucile e ne uccise sette ferendone altrettante. Chi scrive, che era stata all'Aravà per la pace, non può dimenticare lo choc di Israele, e neppure quello giordano: lo stesso re Hussein, un uomo di fascino e carisma speciale, venne in Israele per chiedere scusa e si mise in ginocchio visitando la famiglia Badayev che aveva perso la sua Shiri.

Quei tempi sono passati, la generazione degli Hussein e dei Mubarak che sembrava avere la convinzione della indispensabilità di una pace con Israele sembra aver fatto posto a un mondo spaventato, ossessionato dalla paura del terrorismo e quindi prono alle esigenze populistiche che lo possano tuttavia contenere o indirizzare lontano. Fatto sta che già nel 2013 una petizione firmata da 110 membri del parlamento giordano su 150 chiedeva la liberazione di Daqamseh, e la stessa cosa aveva fatto lo stesso ministro della giustizia Hussein Mjah nel 2011, tanto che Israele chiamo per un colloquio l'ambasciatore a Tel Aviv. Daqamseh ieri è stato messo in libertà, e i canti di gioia e la distribuzione di caramelle hanno festeggiato l'odio popolare anti israeliano che si esprime spesso tramite le proteste dei sindacati e delle organizzazioni professionali a ogni contatto fra israeliani e giordani, la mancanza di ogni stimolo a viaggi e contatti di turismo o studio. Questo è dovuto alla presenza di più di un 50% della popolazione che è di fatto palestinese, e alla crescita dell'integralismo sunnita terrorista che ha chiazzato il Paese di attentati.

Questo porta le classi dirigenti a scaricare la paura dell'estremismo creandosi una verginità anti israeliana: è ancora vivo il trauma del pilota giordano bruciato in una gabbia dopo essere catturato in azione con le forze della coalizione anti Isis, e nel 2014 l'attacco finito nel castello di Karak che fece 10 morti. Ma è valida la domanda: può la Giordania combattere il terrrorismo dell'Isis se perdona quello che uccide 7 bambine per mano di un suo soldato?

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