Politica

Il giornalista ucciso nel consolato saudita aveva le prove di armi chimiche in Yemen

Il caso Khashoggi ridisegna le alleanze in Medio Oriente. A partire dal Qatar

Diana Alfieri

Il caso di Jamal Khashoggi rischia di scombinare piani e alleanze in un Medio Oriente sempre in fibrillazione. Il giornalista di lungo corso e prestigio internazionale - tra l'altro firma del Washington Post - scomparso nel consolato dell'Arabia Saudita a Istanbul il 2 ottobre, e dichiarato morto da fonti saudite il 19 ottobre, era al centro di molte trame, e a conoscenza di parecchi segreti scomodi per il regime di Riad. Ma la rivelazione più interessante arriva dalla stampa britannica: Khashoggi sapeva che i Sauditi avevano usato armi chimiche contro lo Yemen. Sarebbe stato in procinto di ottenere le prove documentali dei crimini di guerra dei Saud, e sarebbe stato eliminato per questo. Non solo: i servizi segreti inglesi, a quanto nel scrive il Daily Mail, sarebbero stati a conoscenza del «problema Khashoggi» e degli intenti dei sauditi nei suoi riguardi.

Come si vede il caso saudita è sempre più difficile da maneggiare per le diplomazie occidentali. E mentre una nuova iniziativa social vede un gruppo di persone alternarsi in video alla lettura degli articoli di Khashoggi in nome della libertà dell'informazione conculcata da Riad, i media americani di orientamento liberal (e non solo) usano il caso come ennesimo elemento di demolizione di Donald Trump. Ma, bisognerà pur dirlo, Trump è solo l'ultimo anello della catena. La simpatia per i Sauditi, certificata recentemente da una visita del principe Mohammad bin Salman in Usa ed Europa, durante la quale ha sfilato allegramente in compagnia di stelle del Cinema, politici, imprenditori, è una costante del confuso Occidente già da un po'. Con una certa ironia i media arabi ostili al regime di Riad hanno fatto notare che l'operazione simpatia nei confronti dei sauditi viene portata avanti da decenni. Ad esempio il New York Times dedica articoli entusiastici che parlano di riforme «liberali» in Arabia Saudita più o meno dagli anni 50. Ha arruolato editorialisti di grido (tra i quali Maureen Dowd) per parlare dei passi avanti Sauditi in tema civilizzazione, e via imbellettando la realtà. Sotto c'è un forte legame tra Arabia Saudita e Usa, motivato da miliardi di dollari di investimenti anche in armi, e l'amicizia comune con Israele, soprattutto in funzione anti Iran.

Ora, semplicemente, il castello di carta (e belletto) rischia di cadere. La verità è che i Sauditi non sono granché liberali, come testimonia Khashoggi torturato e ucciso da un commando arrivato a Istanbul per l'occasione. Ed esercitano un'egemonia pesante e ricattatoria nella loro area geopolitica. Un esempio è appunto la guerra con lo Yemen, che è costata la vita a Khashoggi. Va avanti (almeno nell'ultima fase) da tre anni, e vede la coalizione sunnita capeggiata dai Sauditi in lotta con i ribelli sciiti Houthi. É una sorta di Vietnam per i Sauditi, che non riescono a vincere, nonostante gli anni di pesanti bombardamenti sulla popolazione civile, le migliaia di vittime, l'uso di strategie di guerra «sporche». É un conflitto su cui l'Occidente preferisce sorvolare (Onu compresa) poco elegantemente, e poco misericordiosamente, ma tant'è. Negli ultimi giorni la morte di Amal, bambina morta di fame in Yemen, ha di nuovo fatto parlare del conflitto. In molti hanno parlato di «guerra dimenticata», ma nessuno ha fatto presente il perché.

Altra testimonianza di modi e metodi dei Sauditi sta nell'embargo del Qatar, che va avanti da un anno e mezzo, dopo la richiesta folle al piccolo stato del Golfo di cedere parte della propria sovranità. Anche qui una guerra, stavolta a bassa tensione, che non accenna a risolversi. Il piccolo (e ricchissimo) emirato non accenna a piegarsi, e anzi allaccia rapporti sempre più stretti con altri paesi, Europa e Italia compresa. Proprio in questi giorni Matteo Salvini è stato a Doha per un incontro.

Nel mentre la politica Saudita si fa sempre più palese in tutte le sue ambiguità al resto del mondo.

Il che rischia di scoprire un bel po' di altarini prima abilmente occultati sotto la elegante cappa Bint Al Bakkar del principe Mohammad bin Salman.

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