Mondo

Giusto, ma l'asilo non sia un parcheggio

Giusto, ma l'asilo non sia un parcheggio

Obbligo. Parola pesante, intimidatoria, che evoca controlli polizieschi, sanzioni, coercizione. Strano usarla quando si parla di bimbetti di tre anni. Resta sullo stomaco, divide.

In Francia, come raccontiamo qui sopra, lo Stato supercentralizzato ha definito quello di cui si dibatteva da tempo: anticipare l'obbligo scolastico da sei a tre anni, annettendo alla carriera scolastica dei francesini una bella fetta dell'età dell'innocenza (e della spensieratezza). E già si levano alti i lai di coloro che ritengono la riforma aberrante, perché i cuccioli di uomo dovrebbero solo divertirsi, come le ragazze di Cindy Lauper negli anni Ottanta. E le risposte di coloro secondo cui allungare la stagione delle campanelle e dei banchi sarebbe un fondamentale strumento di educazione, integrazione, facilitazione sociale.

Al di là degli ideologismi che ormai tracimano anche sulle feste al supermercato di rapper e influencer, la questione può essere affrontata da due differenti punti di vista, uno pratico e uno ideologico. Il primo prova a suggerirci che quello francese non è poi un grande cambiamento: già oggi la maggioranza delle famiglie, da quella parte come da questa delle Alpi, sceglie di anticipare l'ingresso nelle aule scolastiche dei pargoletti rispetto ai sei anni delle elementari, che costituiscono l'arruolamento tra i soldatini della vita. Quindi il nuovo obbligo costituirebbe soltanto la ratifica di uno stato di fatto, poco significativo in termini numerici e di impatto socioeconomico.

Ma metterla così rischia di farci perdere di vista il problema essenziale: trasformare la scuola materna da volontaria a obbligatoria vuol dire prima di tutto garantire un posto a tutti, laddove oggi i numeri sono larghi ma pur sempre limitati e le famiglie devono districarsi tra infernali liste d'attesa oppure rivolgersi a una struttura privata, che ha il non trascurabile problema di costare un bel gruzzolo. Inoltre verrebbe a cadere la principale pregiudiziale della scuola dell'infanzia, considerata oggi per lo più come un parcheggio per bimbetti con mamme lavoratrici. Un centro servizi, un ammortizzatore sociale, una baby-sitter di cittadinanza. Che i bambini imparino qualcosa, socializzino e nel caso si divertano anche è solo un eventuale bonus. A qualcuno basta già che non mangino cibi con l'e-coli o non vengano presi a cinghiate da educatrici imbruttite. Se si definisce un obbligo si deve invece ritagliare un preciso percorso educativo, una sorta di programma che tenga conto del fatto che a quell'età, tra i tre e i quattro anni, il cervello dei bambini è al massimo dell'effervescenza neuronale ma essa, secondo i neuropsichiatri, andrebbe messa a frutto soprattutto per imparare a collocarsi nello spazio, prendendo consapevolezza del corpo, del movimento, delle abilità manuali.

Quindi ben venga la materna dell'obbligo se non sarà troppo «obbligatoria». E se aiuterà i piccoli di nazionalità diverse a integrarsi e a sentirsi tutti uguali.

E possibilmente non nemici tra loro.

Commenti