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Il golpe è costato due miliardi

La procura di Trani svela il prezzo della crisi del 2011: l'Italia fu declassata ingiustamente da S&P e pagò una penale miliardaria. Adesso Renzi non ha scuse: deve chiedere i danni

R enzi ascoltaci. Prendi un aereo di Stato, stavolta neanche i grillini protesteranno, porta con te un paio di bravi avvocati dello Stato, il ministro Padoan e la mattina del 5 marzo bussa al Tribunale di Trani. Ti faranno entrare, ti aspettano anche se finora hai fatto lo gnorri. Va' a Trani e costituisci la presidenza del Consiglio, che non è roba tua ma degli italiani, e il ministero dell'Economia come parti civili nel processo contro le agenzie di rating che declassarono il debito italiano. È l'unico modo per farci restituire il malloppo da una banda finanziaria internazionale che ci ha derubati (...)

(...) di due miliardi e mezzo di euro, con il consenso di autentici allocchi (parenti dei gufi) a nome Mario Monti e compagnia.

Non ci importano qui le condanne penali di questo o quel funzionario di primo o secondo rango. Costoro se la vedranno coi giudici. Ma che la grassazione ci sia stata è chiaro come il sole, ormai le prove ci sono tutte. Il Giornale ne aveva raccolte di inconfutabili in un aureo libretto curato da Alessandro Sallusti e che si chiama Un golpe chiamato rating . Comprende la particolareggiata requisitoria del pm Michele Ruggiero contro Standard & Poor's, l'agenzia di rating che ci declassò nel secondo semestre del 2011. Ruggiero ivi dimostra come e qualmente il giudizio non solo fosse opinabile, ma calcolatamente sbagliato. Obbedendo a due intenti. Uno speculativo: alzare lo spread che secondo la definizione di Renato Brunetta si dimostra sempre più un «grande imbroglio». L'altro, e conseguenza del primo, golpista. Determinare con mezzi estranei al voto degli italiani la sostituzione del capo del governo. Il gip ha dato ragione al pm. Ha rinviato a giudizio i capi di S&P per «manipolazione del mercato».

Su queste colonne, l'8 febbraio, rilevammo che alla prima udienza del processo incredibilmente né Palazzo Chigi né il ministero dell'Economia e Finanze (Mef) si fecero vivi. Si trattava di chiedere conto dell'offesa morale e materiale implicata in un giudizio che trattava il nostro Paese come incapace di rispettare gli impegni e dunque trasformando i nostri titoli di Stato in una sostanza vicina allo sterco.

Domandammo già allora: presentatevi, con avvocati bravi si può riuscire a entrare ancora nel processo. Invece nulla. Ora emerge un fatto nuovo: non solo si manipolò il mercato, ma chi lo truccò consentì al suo datore di lavoro di vedersi pagare dall'Italia 2,5 miliardi di euro. La Morgan Stanley infatti aveva finanziato il nostro governo con una clausola contrattuale che ci metteva nelle mani di un'agenzia di cui era azionista (segreta) proprio la medesima banca americana. In caso di downgrade (retrocessione, declassamento) automaticamente essa aveva diritto (?) al mostruoso conquibus . Questo non è conflitto di interessi, è di più. È un incaprettamento scientifico. Monti e i suoi funzionari non protestarono. Chissà perché. Ignoranza o timore di essere a loro volta declassati se non facevano i bravi? Dio non voglia, sia stato per riconoscenza, visto che grazie a quel simpatico falso della S&P, Mario Monti ha visto stendersi sotto i piedi il tappeto rosso verso Palazzo Chigi. Non costituirsi parte civile diventa complicità morale.

In sintesi. C'è stata la rapina del millennio a danno dell'Italia. L'Italia deve esigere i danni. L'oro della Patria va recuperato. E - caro dottor Renzi - non è un linguaggio fascista, maiuscola compresa. L'articolo 52 della Costituzione impone: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». Forse vale persino per il segretario del Pd. Anche se, come danno collaterale di quella truffa, siede a Palazzo Chigi.

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Zurlo a pa gina 3

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