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"Golpe" democratico in Venezuela

Guaidó si proclama presidente in piazza. Ha l'appoggio di Usa e alcuni stati stranieri

"Golpe" democratico in Venezuela

Donald Trump ha subito riconosciuto come nuovo presidente del Venezuela Juan Guaidó. E a ruota via via anche l'Organizzazione degli Stati Americani, Canada, Messico ed altri Paesi la cui lista sicuramente aumenterà nelle prossime ore.

Il presidente del Parlamento infatti - come prevede la Costituzione in caso di frode elettorale conclamata - si è proclamato presidente della Repubblica nel corso di una giornata davvero storica dove in tutto il Paese sono state indette manifestazioni che hanno portato in piazza milioni di persone per dire no alla dittatura di Maduro e chiedere un cambiamento. Il numero due del regime, Diosdato Cabello, appena saputo della sua proclamazione, aveva detto senza mezzi termini che non sarebbe riuscito ad arrivare a Miraflores.

«Oggi è rinata la speranza» queste sono state le prime parole da presidente di Guaidó, diventato il grande eroe di questi giorni dopo che lo scorso 13 gennaio era stato arrestato per alcune ore dai temutissimi agenti del Sebin, l'intelligence venezuelana al servizio del presidente, a mo' di avvertimento in vista delle manifestazioni di ieri.

Il Venezuela è così adesso l'unico Paese al mondo ad avere due presidenti. Maduro che ha vinto le elezioni farsa del 20 maggio scorso e perciò è considerato un «usurpatore» dalla comunità internazionale democratica che non lo ha riconosciuto e Juan Guaidó, il 35enne neoeletto leader del Parlamento, ultima istituzione non ancora occupata dalla dittatura. Secondo la Costituzione di Caracas Gaidó è il legittimo presidente e dovrebbe al più presto indire nuove elezioni, libere e trasparenti. Il problema è che Maduro, che controlla le Forze armate e può contare (per ora) su un servizio repressivo degno dell'ex Securitate di Ceausescu (che vista la fine che ha fatto dovrebbe portare a più miti consigli Maduro & co) dopo essersi insediato lo scorso 10 gennaio vuole a tutti i costi mantenersi al potere per evitare di fare la stessa fine dell'ex dittatore di Panama, Noriega per le accuse di narcotraffico o di Milosevic, visto che ha violato costantemente i diritti umani, provocando migliaia di morti e milioni di profughi affamando un intero Paese. Le prossime ore saranno decisive per il Venezuela. Il rischio che finisca in un bagno di sangue è alto e, al momento in cui andiamo in stampa i morti sono già 8 ma il bilancio è destinato a salire. Martedì notte un giovane di 16 anni ha perso la vita e centinaia ieri sono stati gli arresti di manifestanti anti Maduro. Ma sinora in tutto il Paese, il grido di rivolta è stato più forte della repressione. Persino la metro di Caracas è stata inondata da bandiere al grido di «Senti Maduro, è perché tu veda questa è la gente che ti sta venendo a combattere». Dinanzi ad un Paese finito nel baratro economico dove mancano cibo e farmaci fiumi di folla hanno fatto capire al mondo che non ce la fanno davvero più. «Scendo in piazza per la mia famiglia - si leggeva ieri in uno dei tanti cartelli branditi dai manifestanti - stiamo morendo di fame. Vogliamo un Venezuela libero».

Ieri, del resto per il Paese era una data simbolica. Il 23 gennaio 1958 venne deposto l'allora dittatore, il generale Marcos Pérez Jiménez, dando così inizio alla democrazia; 61 anni dopo i venezuelani sono di nuovo tornati a farsi sentire. L'altra leader dell'opposizione María Corina Machado ha chiamato in causa anche i concittadini scappati dal Paese. «Bisogna che alziamo la voce. Dobbiamo liberare il Venezuela» ha detto. E infatti manifestazioni di supporto sono state organizzate a Miami, Madrid, Berlino e in tante altre città in tutto il mondo.

PM

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