Politica

Dopo il "golpe" il Paese è affondato. E l'Ue ci bacchetta

Debito e deficit sono fuori controllo, servono 6 miliardi entro il 2015. Spread stabile, ma il taglio del rating può travolgere la banche. E l'Ue avverte Renzi: "Ora riforme o scattano le sanzioni"

Dopo il "golpe" il Paese è affondato. E l'Ue ci bacchetta

Parafrasando i Righeira: il semestre sta finendo; l'Italia è ancora sola, non è una novità. Nulla, infatti, dal 1° luglio è cambiato in Europa, e nel ruolo del nostro Paese in Europa. Ma se prendiamo le ultime parole di Matteo Renzi, che paventa l'arrivo della Troika, capiamo che nulla è cambiato anche rispetto al 2011, quando il governo Berlusconi è stato mandato a casa dal complotto internazionale. Siamo tornati al punto di partenza: tre anni passati invano, dimostrazione del fallimento della Ue e delle politiche adottate dall'Ue per (non) far fronte alla crisi. Dimostrazione del fallimento non solo dell'ultimo Renzi, il cui ruolo è stato semplicemente disastroso, ma anche dell'Italia che non è riuscita a cambiare nulla in Europa neanche con i governi Monti e Letta. E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha poco da perorare la causa del rapporto Italia-Germania, perché la situazione in cui versa oggi il nostro Paese deriva proprio da quell'estate-autunno del 2011. Dall'aver ceduto al colpo di stato, perpetrato attraverso il grande imbroglio dello spread, in cui la Germania ha avuto un ruolo da protagonista.

Le cose da fare erano scritte nella lettera che il governo Berlusconi inviò ai presidenti di Commissione e Consiglio europeo il 26 ottobre 2011. Il successivo governo Monti ha fatto sì propri i punti di quella lettera, ma implementandoli a modo suo e in maniera dannosa per il Paese. Il governo Letta è stato subalterno ai diktat tedeschi, indeciso a tutto e non significativo. Infine, il presidente Renzi, tutto teso a regolare conti interni al suo partito, ha pensato di prendersi gioco dell'Europa, ma in realtà ne è stato schiacciato. Il conto, come sempre, lo pagano gli italiani. Con l'aumento della pressione fiscale, l'aumento della disoccupazione, il crollo del reddito disponibile, l'esplosione del disagio sociale.

La guerra ingaggiata da Renzi con l'Europa non farà altro che inasprire lo scontro. Ha cominciato Angela Merkel definendo «insufficienti» le riforme annunciate dal governo. Sono seguite le dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che ha chiesto all'Italia nuove misure entro marzo, e del commissario agli Affari economici Ue Pierre Moscovici: «Sappiamo tutti cosa succederebbe se le regole non venissero rispettate». Poi il bollettino Bce: «Per l'Italia è importante il pieno rispetto del Patto di Stabilità per non mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche e preservare la fiducia dei mercati». E tra venerdì e ieri Moscovici è tornato a chiedere all'Italia nuove misure per rafforzare i conti «entro la terza settimana di gennaio», mentre il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha invitato l'Italia ad «essere responsabile e a fare davvero le riforme» (non solo annunciarle, nda ), altrimenti sarà difficile che il board Bce autorizzi Mario Draghi a comprare titoli del debito pubblico italiano. Per finire con le interviste del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, eletto anche grazie ai voti di Renzi, al Frankfurter Allgemeine Zeitung («Se l'Italia non procederà con le riforme annunciate si arriverà a un inasprimento della procedura sul deficit. E non sarà piacevole»), poi ad Avvenire («Se c'è qualcuno che non può lamentarsi è proprio l'Italia, il patto di Stabilità non è mai stato applicato in modo più flessibile»).

Viene fuori il ritratto della sinistra al tempo del IV Reich. Sottomessa e silente, purché la si lasci in sella. Come dice il Vangelo (secondo Matteo, appunto): «A ogni giorno la sua pena». Per il presidente del Consiglio italiano sembra essere proprio così. Ma guardando all'operato del suo governo verrebbe anche da aggiungere che se l'è cercata.

Eppure la raffica di brutte notizie non finisce qui. La realtà ha la testa dura, e la manifesta attraverso i dati macro. L'immagine plastica di un'Italia ormai allo sbando. Contro la quale Renzi tenta di fare la voce grossa, addebitando ad altri le proprie responsabilità.

Il deficit strutturale non è in linea con quanto previsto dal patto di Stabilità e crescita. Il debito cresce invece di diminuire, e pure a un ritmo superiore a quello degli anni passati. La spesa corrente aumenta invece di contrarsi. L'economia reale (leggi: la decrescita del Pil) è in profondo rosso. La stessa Commissione europea riconosce il peso di «circostanze eccezionali», ma queste non sembrano essere tali da giustificare il via libera alla Stabilità da parte dell'Ue.

Il comunicato finale dell'Eurogruppo dell'8 dicembre 2014 prende in considerazione tutti i Paesi che versano in condizioni precarie. L'Italia si trova nelle condizioni peggiori: da qui la richiesta di realizzare una manovra di 0,4 punti di Pil, pari a circa 6 miliardi di euro, per il 2015.

A tutto questo risponde il povero Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia e delle finanze, cercando di essere rassicurante: «Non vi sarà alcuna misura correttiva dei conti pubblici». Vale a dire: nessun'altra stangata ai danni del contribuente. Ma si tratta di una speranza più che di una certezza.

Ultima doccia fredda: la pubblicazione dei dati Istat sulla produzione industriale del mese di ottobre, che indicano un nuovo calo. Se il Pil cade in misura maggiore, cosa altamente probabile, anche questo parametro risulta stravolto. Risultato? Violeremo il parametro fondamentale previsto dai Trattati. E l'Europa aprirà una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, salvo, appunto, che il governo non corregga i conti. L'asticella del deficit di bilancio, quello che rileva ai fini di Maastricht, è stata collocata dal governo al 3%. Non esiste pertanto alcun possibile margine di flessibilità. Tutto risulta legato al tasso di crescita, o meglio di decrescita, effettiva del Pil. Se conterremo le perdite entro lo 0,3%, i conti quadreranno. Ma se il calo sarà maggiore, ed è molto probabile che questo avvenga, violeremo i Trattati non solo nel 2015, ma anche già nel 2014. Ed allora non vi saranno scuse che tengano.

Dulcis in fundo, l'ultimo declassamento del rating del debito italiano da parte di Standard & Poor's. Come noto, il giudizio è ormai BBB-: un solo notch (gradino) al di sopra dei junk bond . Vale a dire dei titoli spazzatura, che i grandi gestori internazionali non possono, per convenzione, tenere nei loro portafogli. Se vi fosse un'ulteriore flessione, a comprare i titoli italiani sarebbero solo le banche nazionali. Prospettiva inquietante. Perché la crisi del debito sovrano si tradurrebbe in un effetto valanga, trascinando verso il baratro gli stessi istituti di credito.

Finora le reazioni dei mercati non hanno destato particolari preoccupazioni. Lo spread Btp-Bund è aumentato di 25 punti base (da 118 venerdì 5 dicembre a 143 venerdì 12), rimanendo tuttavia in zona di sicurezza.

Ma i tempi di reazione non sono mai immediati.

Commenti