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Goro, abitanti messi all'angolo "Basta accuse, non sapevamo"

Dopo le barricate, loro restano nel mirino: «Nessuno ci ha parlato di profughe». Il parroco: giusto avvisare

Goro, abitanti messi all'angolo "Basta accuse, non sapevamo"

nostro inviato a Gorino (Fe)

Le biciclette sull'argine del grande fiume. I pescatori di vongole in perlustrazione nelle acque salmastre della laguna. E l'ostello che ha incendiato l'Italia riconsegnato alla routine. Gorino era fuori dalle mappe geografiche fino a lunedì, è diventata la capitale di un'Italia in formato becero, xenofobo e pure un po' vigliacco per un giorno, ora sprofondata di nuovo nella sua penombra senza tempo La nebbia che si mischia all'umidità. L'acqua che modella il paesaggio, l'impressione di essere lontani da tutto. Da Ferrara. Dall'ospedale che dista ottanta chilometri, da tutto il resto. Gli abitanti, cinquecento o poco più, si ricompongono dopo l'ubriacatura di telecamere taccuini e ripetono in coro quel che già dicevano martedì: «Non siamo razzisti, il problema è che nessuno ci aveva avvisato». Nessuno si era preso la briga di spiegare che sarebbero arrivate dodici profughe, nessuno aveva preparato il terreno, niente di niente.

Cosi è nata la rivolta, i bancali di legno a bloccare la strada, il respingimento a furor di popolo delle migranti, manco Gorino, lontana frazione della sperduta Goro, fosse la Slovacchia l'Ungheria.

Ma la realtà, prosaica e modesta, non piace. Giornali e tv insistono col giochino che funziona: o sei di qua o di là, egoista o solidale. Bianco o nero. Molti sembrano non sapere che è il grigio il colore dominante di tante parti d'Italia. Si prendono mozziconi di frasi del sindaco o del parroco, le si amputa, li si mette contro il paese, il loro paese sparando titoli a effetto: il primo cittadino si dissocia, il prete contro i suoi fedeli. Naturalmente non è cosi. «I miei concittadini - racconta il borgomastro Diego Viviani - erano solo spaventati e inconsapevoli. Qui non siamo né fascisti né razzisti».

Ci fosse la sirena di qualche chiatta si potrebbe stare comodi dentro un romanzo fiammingo di Simenon, ma il silenzio avvolge le casette e il porticciolo. La verità è che il metronomo, ancorato al ritmo secolare dell'adagio, è improvvisamente impazzito. In un crescendo forsennato di voci, paure, fantasmi che hanno cancellato ogni possibilità di mediazione.

Poi hanno cominciato ad appiccicare le etichette: i cattivi che rimandano indietro delle povere donne, una pure incinta; una scheggia di Alabama schiavista incastrata dentro l'Emilia democratica e progressista e via mettendo in fila stereotipi e luoghi comuni. Ci prova don Paolo Paccagnella, a Gorino da 25 anni e più, ad uscire dal fumetto a tinte forti in un colloquio con il Fatto: «Io le barricate non le comprendo, ma alle barricate non si doveva arrivare. Se io vengo a casa sua e le porto dieci persone, la avviso un po' prima, così che lei possa prepararsi, no?». Buonsenso. Che i politici, tappati nei loro comitati romani, hanno barattato col piatto di lenticchie dell'indignazione. L'arrocco dei paesani desta scandalo.

Nicola Lodi, dirigente provinciale della Lega, prova a illuminare un altro lato del problema: «L'ostello è l'unico luogo di ritrovo del paese, il bar è tappa fissa per molta gente, la struttura è fondamentale per il turismo, seconda voce dell'economia locale dopo la pesca alle vongole. L'arrivo dei profughi avrebbe rallentato o fermato i flussi di chi alloggia qua».

La mossa di portare via le camere, lasciando alla comunità solo il bar al piano terra, i caffè e le partite a carte, ha sconvolto gli equilibri e i titolari del locale Paolo Fabbrini e la sua compagna Sanela Nikolic, che come è facile intuire non è nata a queste latitudini ma è arrivata dalla Serbia, sono diventati i simboli di una resistenza allo Stato ottuso e maleducato.

Ora il falò è spento, anche se l' incendio continua a fare notizia.

Ma altri focolai, se l'approccio non cambierà, si svilupperanno altrove.

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