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Il governo fa "melina" E teme l'ondata del Carroccio in piazza

Per «nascondere» il dietrofront premier e via XX Settembre costretti ai salti mortali

Il governo fa "melina" E teme l'ondata del Carroccio in piazza

Va bene che il «silenzio è d'oro, le parole hanno un peso» e «il mio è un silenzio virtuoso e operoso», come ripeteva ieri a raffica il premier Giuseppe Conte, evocando mercati rasserenati, spread in calo, trattativa con l'Europa in dirittura d'arrivo e, dunque, soluzione ormai «ad horas» con riduzione del deficit che tutti pensano possa scendere al 2 per cento. Addirittura, si sbilanciava Conte, «sto mettendo a punto una mia proposta che l'Unione Europea non potrà non prendere in considerazione». Più che arzigogoli da avvocato trattativista (sia pure «del popolo»), parole che sembravano virtuosismi da navigato centrocampista - il premier pare lo fosse - che fa «melina» per far scorrere il cronometro fino al fischio finale. Fischio che non sembra riguardare però la trattativa con Bruxelles, bensì lo stallo politico nel quale s'è imbarcato un governo ormai rassegnato al dietrofront, ma anche determinato a camuffarne il più possibile i cedimenti più imbarazzanti. Anche perché, scontato due più due che ieri circolava nel Palazzo, sabato la Lega di Salvini deve mostrare i «muscoli» in piazza e guai a far capire il massiccio uso di anabolizzanti del genere «Propagandol». Ecco perciò l'ennesima giornata aperta dall'ottimismo attendista di Conte, non smentito del tutto dal realismo del commissario europeo Moscovici (più per buona creanza che per convinzione), ma che faceva a pugni con un lavoro paradossale in commissione Bilancio alla Camera (qual è la vera manovra? E nel frattempo l'arrivo in aula slittava alle 20 di giovedì) e che richiedeva l'inconsueta audizione urgente del ministro Tria, reduce dagli estenuanti tira-e-molla all'Eurogruppo, a fine giornata, per chiarire lo stato della trattativa.

Un ministro, peraltro, che in mattinata aveva fatto sobbalzare il mondo politico, augurandosi piuttosto di «non andare in recessione» e di riuscire a varare una manovra «che almeno ostacoli questo rallentamento dell'economia, accordo o non accordo con la Ue». Il problema, spiegava, non è di natura tecnica, perché tante solo le soluzioni, bensì squisitamente di «decisione politica». Evidente richiamo alle due forze di governo che non decidono ancora perché impaurite dai contraccolpi mediatici di misure promesse da innumerevoli annunci e probabilmente irrealizzabili. Così il ministro dell'Interno Salvini, tra una polemica con Confindustria e una con il procuratore Spataro, era costretto a giocare pure lui al tiki-taka, con richiami mistici: «Nessuno va a letto con un decimale inciso sul muro vicino all'immagine di Padre Pio... Non mi appassiono ai decimali». Frasi di prammatica, già utilizzate più volte, nonostante al banco della trattativa con l'Ue sia apparso chiaro che «bisogna fare presto, ne siamo tutti consapevoli» (Conte, Tria). E lo è pure Salvini, che parlava di maxi emendamenti che alla Camera e al Senato conterranno le misure per evitare in extremis la procedura d'inflazione, riducendo il gap tra le regole del Patto di Stabilità e la manovra denunciato da Moscovici. Che non mancava di ricordare come «la Commissione, in parallelo alle discussioni con l'Italia, continua a preparare i passi legali», ovvero la procedura per deficit eccessivo. «Si lavora su due gambe: una è il dialogo, l'altra è la procedura». Dalla retorica del dialogo, aggiungeva non senza ironia, «siamo passati alla realtà del dialogo». Ora finalmente la Ue vorrebbe vedere i fatti, «le prime misure che permettano di ridurre il deficit pubblico italiano». In tempo per il 19 dicembre, termine per l'avvio o l'archiviazione della procedura.

Sempre «Propagandol» permettendo, naturalmente.

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