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Il governo del non fare vuole chiudere l'Ilva e spaventa le imprese

In bilico acciaierie di Genova e Piaggio Aero Confindustria: «Stop confusione sulle regole»

Il governo del non fare vuole chiudere l'Ilva e spaventa le imprese

Oggi il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, nel corso dell'assemblea pubblica annuale ribadirà le richieste formulate dagli imprenditori prima delle elezioni: azzeramento del cuneo fiscale per i neoassunti e politiche indirizzate allo sviluppo, a partire proprio dallo scambio tra salari e maggiore produttività. Saranno parole, anticipate ieri dal Giornale, che risuoneranno comunque critiche dinanzi a un futuribile governo che ha un forte imprinting anti-industriale, anti-settentrionale e che professa dogmi ecotalebani finalizzati alla decrescita e non all'incremento del Pil.

Non si può definire altrimenti la sortita del responsabile economico grillino Lorenzo Fioramonti che ieri a Taranto ha parlato di «chiusura progressiva dell'Ilva». Non sono bruscolini: i pentastellati trattano da sempliciotti un'impresa che dà 20mila posti di lavoro in un'area depressa e che il gruppo ArcelorMittal, dopo l'esproprio ai danni della famiglia Riva, si è impegnato a rifinanziare per 1,8 miliardi fornendo una chance a una platea di creditori che vanta 2,5 miliardi di spettanze. «Dilettantismo», l'ha bollato il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda. «Non si possono cambiare le regole ogni volta che cambia il governo», gli ha fatto eco Vincenzo Boccia.

Non è l'unico fronte aperto. In Liguria, giorno dopo giorno, cresce il timore che il giacobinismo grillino (mal contenuto dai leghisti) possa mettere a rischio quel che resta del tessuto industriale della Regione. Se Taranto chiudesse, anche l'Ilva di Cornigliano, in provincia di Genova, dovrebbe cessare le attività mandando a casa 1.500 persone (500 delle quali già in cassa integrazione). «Andremo in massa a Sant'Ilario», ha dichiarato il segretario Fiom-Cgil di Genova, Bruno Manganaro, alludendo alla residenza genovese di Beppe Grillo. C'è da dire, poi, che l'ala pacifista del Movimento intende ridiscutere anche la commessa da 760 milioni affidata alla Piaggio Aerospace per la realizzazione di 20 droni P2HH per l'Aeronautica militare. In ballo ci sono mille posti di lavoro, ma la speranza è che le esigenze della Difesa rappresentino un interesse superiore rispetto alla propaganda pentastellata.

Non meno importante è la questione del Terzo Valico che ha cominciato ad agitare gli attivisti anti-infrastrutture della Liguria. Luigi Di Maio prima delle elezioni aveva promesso ce anche il collegamento ferroviario tra il Porto di Genova e la Pianura padana sarebbe stato rimesso in discussione, ma la priorità assegnata al blocco della Tav Torino-Lione ha agitato gli animi. I «no-tutto» della Lanterna speravano nel blocco dell'infrastruttura così come in quello della Gronda autostradale, frenando interventi per circa 11 miliardi di euro.

Ieri il Pd ha cercato di spaccare la maggioranza di centrodestra in Regione Liguria con un ordine del giorno sull'impegno dell'ente locale per l'infrastrutturazione del territorio. L'obiettivo era quello di stanare i leghisti che, visto il contratto di governo, dovrebbero assecondare l'ambientalismo del «non fare» di stampo grillino. E, invece, la maggioranza ha tenuto e gli unici a votare contro sono stati proprio i Cinque stelle. Assume, pertanto, un valore altamente simbolico il richiamo del governatore ligure Giovanni Toti, forzista ma sempre dialogante con Salvini & C., ai suoi storici alleati. «Se il nuovo governo andrà in una direzione moralista, pauperista, di occhiuto controllo dello stato sulle imprese, di blocco delle grandi opere e gomitate in faccia alle aziende strategiche, credo che francamente le nostre strade si divideranno molto presto», ha dichiarato.

In quel caso nemmeno le giunte di Lombardia, Veneto e Friuli potrebbero sentirsi troppo sicure, ma per la resipiscenza c'è sempre tempo.

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