Politica

Il governo strappa la fiducia tra gli insulti Ma non ha i numeri

Ok alla riforma della scuola che ora passa alla Camera: i sì sono solo 159. Si sfilano altri tre democrat. Contestano le opposizioni

Roma«Ce l'abbiamo fatta», digita sul telefonino il ministro Stefania Giannini. Il suo sms arriva a Bruxelles, dove il premier, impegnato al vertice europeo, aspetta notizie dal Senato che vota la fiducia sulla riforma della scuola.

Fiducia che passa con 159 sì (due voti sotto la maggioranza assoluta, ma otto voti sopra il minimo storico della maggioranza, registrato sul decreto Ilva con 151 voti) e 112 no, con molte assenze anche nelle file dell'opposizione. Dal momento in cui il ministro Maria Elena Boschi ha annunciato, come previsto, che sul provvedimento si chiedeva il voto di fiducia, l'aula del Senato si è trasformata in una bolgia infernale, tra urla, insulti e fischi di grillini, Lega e Sel; lumini funerari accesi sui banchi, anziani senatori con sgargianti magliette bianche che tuonavano «No alla scuola di classe». Il tutto molto poco governato dalla presidenza, lamentano nel Pd. Nel partito di Renzi sono tre i senatori che non partecipano al voto: i soliti Walter Tocci, Roberto Ruta e Corradino Mineo. Il quale riesce a prenderle da entrambe le parti: dalla maggioranza Pd che lo considera ormai con un piede fuori e un piede dentro il partitino di Civati, e pure dai manipoli di esagitati dei Cobas scuola che aspettano i senatori all'uscita per insultarli e tirar loro addosso oggetti non meglio identificati, che lo hanno preso di mira al grido di «traditore» e «vigliacco» per non aver votato contro la fiducia. A trarlo in salvo sono stati i poliziotti. Il Pd ha invece recuperato il voto della civatiana Lucrezia Ricchiuti, Felice Casson era assente «giustificato». Alla maggioranza si sono aggiunti anche i voti dei due ex Fi come Bondi e Repetti.

L'epopea della riforma scuola al Senato finisce come previsto dai dirigenti del gruppo Pd al Senato, che fin dalla sera prima avevano garantito al premier che ci sarebbero stati almeno 159 voti. Ora il ddl tornerà alla Camera, che la esaminerà dal 7 luglio, per essere approvata entro la pausa estiva. «A parte alcune assenze motivate e giustificate mi sembra che siamo nella media: la maggioranza è solida», assicura il ministro Giannini. «La matematica non è un'opinione: il governo non ha più la maggioranza assoluta», sottolinea invece il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani. Un memento al governo, che entro le vacanze spera invece di riuscire a fare un triplo salto mortale, portando a casa le unioni civili, la riforma della Rai e – ciliegina sulla torta – anche la riforma costituzionale, in modo da poter tenere il referendum confermativo dell'abolizione del bicameralismo insieme alle amministrative della primavera 2016. Un'impresa che sembra quasi impossibile, eppure il premier ai suoi assicura: «Vedrete che i numeri ci saranno». Va trovato un accordo, innanzitutto nel Pd e nella maggioranza, e poi anche con pezzi di opposizione, altrimenti il rischio che si blocchi tutto ai primi passi è alto: «In commissione Affari Costituzionali siamo pari, 13 a 13 tra maggioranza e minoranza», fa notare il senatore Pd Francesco Russo. E una vecchia volpe come Ugo Sposetti si mostra scettico: «Non vedo aria di grandi mediazioni possibili». Eppure Renzi proverà ad accelerare, tenendo insieme il dossier Rai e quello sulla riforma del Senato, offrendo (via legge ordinaria) l'elezione diretta in un apposito listino dei consiglieri regionali chiamati a fare anche i senatori; e trattando con Berlusconi sulla riforma della tv.

Tant'è che chi nel governo si occupa della riforma della Pubblica amministrazione è stato avvertito che il ddl slitterà all'autunno: la priorità ora è un'altra.

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