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Ma per Greta e Vanessa avevano fatto di tutto

Il volontario siciliano non aveva le "stimmate" di sinistra

Ma per Greta e Vanessa avevano fatto di tutto

Era innanzitutto un serio professionista. Non confondeva l'impegno per il prossimo con l'ideologia. Non mescolava la generosità alla retorica. E non era un attivista di sinistra. Giovanni Lo Porto non possedeva insomma nessuna delle caratteristiche indispensabili per mobilitare la grande stampa di questo Paese, per far fremere pacifisti e anime belle, per far scendere in piazza studenti ed operai. Era un esimio sconosciuto, una perdita irrilevante o - come sussurra l'amara disperazione del padre - un «ostaggio di serie B». Difficile dargli torto. Difficile non mettere a confronto il clima di annoiata indifferenza con cui il nostro Paese ha reagito, per tre anni, al suo rapimento e quello di generale mobilitazione che circondò la vicenda di Simona Pari e Simona Torretta, le due volontarie di «Un Ponte per...», sequestrate il 7 aprile del 2004 a Bagdad e liberate cinque mesi e mezzo dopo. In quei giorni le loro foto campeggiavano sulle prime pagine dei giornali, sventolavano dalle finestre dei palazzi istituzionali, illuminavano l'apertura dei tg, animavano i dibattiti televisivi. In quei giorni di passione, discussioni e polemiche non c'era italiano che non fosse in grado di citarne vite, opere e miracoli, di prevederne morte o liberazione, di esprimere giudizi sulla bontà o sull'inutilità del loro lavoro.

Erano così conosciute, talmente amate - o parimenti detestate - da diventar l'una l'alter ego dell'altra, fino a fondersi in un'entità mediatica una e bina, citata semplicemente come le Due Simone. Dietro quell'entità non c'erano più due semplici donne. C'erano prima di tutto due «attiviste pacifiste» assurte a simbolo e slogan della retorica di sinistra. Per quella connotazione politica ideologica, non per l'essere banalmente umane o genuinamente generose, dovevano esser riportate a casa. A tutti i costi. E ad ogni prezzo. E lo stesso valeva per Vanessa Marzullo e Greta Ramelli le due autoproclamate «volontarie» rapite in Siria e liberate il 15 gennaio scorso, lo stesso giorno in cui, per una tragico, ma simbolico gioco del destino, un missile troncava vita di Lo Porto. Greta e Vanessa, a differenza delle due Simone, non erano neppure pacifiste. E tantomeno professioniste. Ma in virtù del medesimo pedigree di sinistra beneficiavano pure loro dello status di fanciulle-simbolo, capaci di animare cortei e dibattiti.

Giovanni Lo Porto non poteva vantare nessuna di queste di queste qualità. Non partecipava a cortei o manifestazioni. Non inneggiava alle gesta di movimenti armati, rivoluzionari e massacratori. Desiderava solo aiutare il prossimo. Per riuscirci s'era preso una laurea a Londra e un master in Giappone. Per metterle a frutto s'era sudato incarichi e fatiche tra le macerie di Haiti, le giungle del Centrafrica e le infide montagne del Pakistan. Giovanni non parlava molto e lavorava tanto.

Ma forse per questo la sua vita valeva dannatamente poco.

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