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Lavoro, alluvioni e crolli: per il Pd Renzi deve lasciare

Per anni i democratici hanno cavalcato questi problemi per spingere il Cavaliere a dimettersi, ma il premier sta facendo molto peggio

Lavoro, alluvioni e crolli: per il Pd Renzi deve lasciare

«Berlusconi dimettiti». Ve la ricordate l'ossessione di Bersani? C'era un periodo nel quale ogni cosa accadesse, precipitassero dal cielo ettolitri d'acqua o si staccasse una pietra, la colpa era sempre del Cavaliere. Il segretario del Pd, come un pappagallo, ripeteva compulsivamente: «Berlusconi dimettiti». Sembrava l'imitatore di se stesso. Riavvolgiamo il nastro: corre l'anno 2011. Il leader dell'allora Pdl è a palazzo Chigi da tre anni. La sinistra sta cercando qualunque sotterfugio per ribaltare il risultato delle elezioni: spread, intercettazioni, gossip. La linea del Pd è una sola: gettare fango sull'Italia e dare la colpa al centrodestra. Così facendo si danneggia anche il Paese? Chissenefrega. A loro interessava solo una cosa: mandare a casa il premier.

Così a Largo del Nazareno si inventano una campagna di affissioni con cui tappezzare il Paese. Lo slogan? «Berlusconi dimettiti». Grande sforzo di originalità. Foderano lo Stivale con il loro manifesto (funebre): «La disoccupazione giovanile al 29%» e sotto il solito ritornello sulle dimissioni. Un allarme giustificato? No, con un po' di malizia si potrebbe definire «procurato allarme». Oggi davanti a una dato del genere faremmo saltare i tappi di champagne, perché dopo i governi Monti, Letta e Renzi la disoccupazione giovanile è salita al 42,9 per cento. Ripetiamo: 42,9 per cento. E adesso il Pd a chi chiede le dimissioni? A Renzi?

Torniamo al 2010. La campagna di affissioni dei dem era iniziata proprio in quell'anno. Un'operazione in grande stile che, col tempo, si è trasformata in un boomerang. «L'Italia crolla, governo a casa!» sbraita un manifesto. Il motivo di tanto allarmismo? Un crollo a Pompei. Un brutto crollo, per carità. Ma, a prescindere dal fatto che il perimetro di Pompei non coincide esattamente con quello di tutto il Paese, da quel momento di crolli ce ne sono stati a iosa. Gli ultimi due durante il governo Renzi. Forse voleva rottamare le antiche vestigia nel nome della rombante modernità renziana? Non si sa, comunque nessuno ha osato chiedere le dimissioni.

Ma le infelici scelte della campagna antiberlusconiana non si fermano qui. Dopo i crolli puntano sulle catastrofi naturali: ogni disgrazia fa brodo. Nel novembre del 2010 un'alluvione devasta il Veneto. E il Pd cosa fa? Pensa a come sfruttarla in chiave politica. «L'Italia affonda, governo a casa», berciano gli sciacalli. Purtroppo di sciagure, negli ultimi quattro anni, ce ne sono state altre. Ma di richieste di dimissioni da parte della sinistra non se ne sono più viste. Forse perché al governo c'erano uomini di sinistra? Il dubbio è più che legittimo. Anzi è una certezza. Perché il tempo rende giustizia e a distanza di anni si è capito che quelle del Pd erano tutte balle, funzionali a uno scopo politico. Altrimenti, nei quattro anni successivi, avrebbero dovuto tappezzare il Paese di «Monti dimettiti», «Letta dimettiti». Ma frugando nell'archivio dei manifesti del Pd, si trovano anche delle chicche surreali: un manifestone con Bersani in maniche di camicia e sotto di lui la scritta: «Le tasse sono aumentate e la pazienza è finita». Data: settembre 2010. Prima che gli italiani fossero spremuti come limoni da Monti, Letta e Renzi e la tassazione percepita superasse la soglia del 50%. Nel silenzio assoluto del Pd.

Che non ha mai più chiesto le dimissioni di nessuno.

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