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Per "guarire" il pianeta dagli sprechi di cibo feste, app e salvabanane

Un terzo degli alimenti si disperde. Così il mondo corre ai ripari: frugando nei bidoni

Per "guarire" il pianeta dagli sprechi di cibo feste, app e salvabanane

Spreco, quanto mi costi: in termini economici, ma anche di immagine aziendale, sprecare risorse è diventato uno dei peccati capitali della nostra epoca. Oggi la Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare trova uno scenario diverso rispetto al 2014, quando è stata organizzata la prima. Non più lamentele a uso e consumo di ecologisti puri e duri, lo stigma che circonda il gettare nella spazzatura il cibo è diventato universale. Perfino il Super Bowl, l'evento sportivo più atteso negli Stati Uniti, nonché tra i più inquinanti, quest'anno ha puntato allo spreco zero. Così 40 tonnellate di cartacce, avanzi di cibo e bicchieri di polistirolo sono stati resi biodegradabili, riciclabili o bruciati in inceneritori che producono calore per riscaldare le case. Insomma, perfino quei campioni di consumismo degli americani ci stanno mettendo la testa.

Ma è aperta la gara tra aziende, distribuzione, start-up e singoli cittadini a trovare la soluzione migliore e, a volte, bizzarra. Obiettivo: «Ridurre, riutilizzare, riciclare», come vuole il mantra del crescente popolo degli antispreconi.

Nel Regno Unito tra le varie iniziative prese dalla grande distribuzione la più curiosa è quella di Sainsbury's che ha allestito «postazioni salvabanana» con ricette e consigli su come utilizzare il frutto anche quando è in stadio avanzato di maturazione e vendita di pane alla banana preparato con quelle invendute. Partita dalla Francia con Intermarché, la vendita di frutta e verdura «moche», brutta, ovvero fuori standard o bitorzoluta, è stato ripreso da altri.

Un drappello di giovani ecologisti berlinesi goderecci nel 2012 ha ideato lo Schnippeldisko, party in cui si balla e si mangia una superzuppa preparata con ingredienti salvati dal bidone. Il primo ha sfamato 9mila persone, ed è stato replicato in varie città del mondo. A Sydney l'OzHarvest market vende cibo recuperato da giacenze destinate a finire nella spazzatura perché non più vendibili anche se commestibili, e quindi la spesa si paga quanto si vuole, o si può. In Svezia, a Eskilstuna, un intero centro commerciale vende solo prodotti a impatto zero: usati, riparati o riutilizzati per produrre qualcosa di nuovo (si chiama upcycling) o prodotti in maniera sostenibile.

La tecnologia può fare molto, e lo fa. Sono numerose le app che inviano notifiche a chi è iscritto per avvisarlo della vendita di cibo prossimo alla scadenza, naturalmente in promozione. Solo in Italia ci sono BeeApp, MyFoody o LastMinutesottocasa. Alcune permettono anche si recuperare pasti avanzati ma ancora gustosi da ristoranti o addirittura da privati. Perché se si condivide si riutilizza meglio, e allora via alle community su web dove ci si scambiano abiti usati, mobili, apparecchi, oggetti vari.

Per i più individualisti, app e frigoriferi intelligenti avvisano quando un alimento è vicino alla scadenza nella dispensa di casa. E magari propongono anche una ricetta per utilizzarlo subito.

I numeri del fenomeno sono ingenti. Ogni anno, più di un terzo della produzione mondiale di cibo si perde o si spreca lungo la filiera. Secondo Federdistribuzione le eccedenze alimentari in Italia sono 5,6 milioni di tonnellate e solo l'8,6 per cento viene recuperato con donazioni per uno spreco che vale 12,6 miliardi di euro, il 15,4 per cento dei consumi alimentari annui.

Un conto che non possiamo più permetterci di pagare.

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