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Guerra appesa a un filo (del telefono)

L'esplosione o meno del conflitto in Siria dipende anche da ciò che si sono detti Obama e Putin

Guerra appesa a un filo (del telefono)

Sembra un film già visto: cambiano gli scenari, ma non la sostanza. Il 1° marzo del 2014, mentre la tensione internazionale cresceva, Putin telefonò a Obama per discutere di una soluzione diplomatica alla crisi in Ucraina. Due anni dopo la ragione del contendere è la Siria, ma il telefono ha ripreso a squillare. Non è dato sapere chi abbia chiamato chi, ma i due leader sabato sera si sono sentiti per 37 minuti (nel 2014 conversarono per quasi un'ora e mezza). A 8mila chilometri di distanza Putin e Obama hanno condiviso la necessità di coordinare incontri di lavoro tra i loro «ministri degli esteri» Lavrov e Kerry nella guerra all'Isis e di intensificare una cooperazione tra le rispettive strutture, per rendere fattibile l'accordo raggiunto a Monaco sul cessate il fuoco in Siria. Il summit tedesco è un importante punto di partenza, a patto, come ricordato dal segretario di Stato Kerry, che «si faccia in fretta. Più a lungo dura la guerra più ne approfitteranno gli estremisti». Jihadisti che hanno ucciso oltre 100 persone, compresi diversi bambini, nella provincia orientale di Day Az Zor. I corpi sono stati scoperti ieri in una fossa comune. I primi convogli umanitari dovrebbero partire verso le città e i villaggi assediati entro mercoledì, ma i buoni propositi sulla Siria vengono rallentati dall'ostruzionismo delle diplomazie.Il governo di Damasco ha denunciato la Turchia di aver aperto il fuoco su postazioni delle forze curdo-siriane nella zona di Azaz. «Quanto sta accadendo è un sostegno diretto al terrorismo da parte di Erdogan. Senza dimenticare l'ingresso in uno stato sovrano» si legge in una lettera che Damasco ha inviato al segretario generale dell'Onu e alla presidenza del Consiglio di sicurezza. Sull'episodio, scrive la stampa di Ankara, si segnalano scambi di accuse tra il ministro della difesa di Mosca, Serdyukov, e l'omologo turco Yilmaz. «Assad è l'unica autorità legittima tuona da Mosca il premier Medved allontanarlo vorrebbe dire il caos». L'Arabia Saudita è scettica sul ruolo della Russia. Il ministro degli Esteri Al Jubeir è convinto che «Mosca fallirà nel suo tentativo di salvare Assad e anche l'Iran ha pochi strumenti per mantenerlo alla guida del governo». I sauditi chiedono a Mosca di fermare i raid aerei contro l'opposizione moderata siriana. «Tanto è solo una questione di tempo - conclude Al Jubeir - prima o dopo il regime cadrà». La risposta di Teheran è nelle parole del capo di Stato maggiore dell'esercito Jazayeri: «Riad in Siria ha fatto un buco nell'acqua. Oggi mette in atto una guerra psicologica. Anche per nascondere i fallimenti nello Yemen».Il destino della Siria è diventato terreno di scontro nella campagna elettorale delle presidenziali. Donald Trump è favorevole a un coinvolgimento di Mosca, Jeb Bush invece accusa il Cremlino di aprire il fuoco sulle forze di opposizione sostenute dagli Usa. Trump si dice pronto, in caso di elezione, a mettere in atto «un piano infallibile» per annientare «gli animali dell'Isis». Gli Usa hanno un altro fronte caldo da controllare, quello afghano. Da Kabul il generale John Campbell, comandante in capo della Missione «Resolute Support», prevede «un'estate calda» nella guerra al terrorismo talebano. «Continueremo ad assistere gli afghani, se necessario anche con un sostegno aereo, ma non torneremo alle operazioni di combattimento diretto».

Campbell rivela però che i talebani «non dispongono più delle risorse economiche di un tempo, sono privi di leadership e hanno perso migliaia di uomini in 15 anni di guerra».

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