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La guerra delle cene fa litigare i democratici: il Pd crolla sotto il 17%

Gli inviti di Calenda e Zingaretti irritano i big. E l'ex ministro annulla il suo incontro

La guerra delle cene fa litigare i democratici: il Pd crolla sotto il 17%

Da «Indovina chi viene a cena» a «La cena dei cretini», le battute sulla new wave conviviale del Pd - che secondo l'ultimo sondaggio Swg è crollato sotto il 17% - si sprecano. Ironia facile, certo, ma inevitabile visto che il dibattito interno, da qualche giorno, è tutto concentrato sul chi cena con chi.

La Cena Numero Uno è quella convocata a casa sua dall'ex ministro Carlo Calenda, che si è pubblicamente rivolto a Renzi, Gentiloni e Minniti con due obiettivi dichiarati: farli smettere di litigare, e metterli d'accordo su una ricetta che faccia uscire il Pd dall'impasse. L'obiettivo non dichiarato è quello di creare un fronte comune contro la candidatura di Nicola Zingaretti, «sganciando» - come spiega uno degli ideatori della cena - l'ex ultimo premier dal governatore del Lazio, che proprio sull'appoggio di Gentiloni punta molte, se non tutte, le sue speranze di vittoria. La Cena Numero Due l'ha inventata su due piedi proprio Zingaretti, per rispondere per le rime all'iniziativa ostile di Calenda: voi fate la cena degli ex ministri? E io faccio la cena della società civile: «La prossima settimana ho organizzato in trattoria una cena con un imprenditore, un operaio, un amministratore, un membro di un'associazione, un giovane professionista, una studentessa ed un professore. Chiederò loro: dove abbiamo sbagliato, e cosa dobbiamo fare per tornare a vincere?». Un bagno di umiltà per l'aspirante candidato leader del Pd, col vestito di saio e pane e cicoria nel menù.

La prima cena, intanto, affonda. Tutti hanno detto ufficialmente di sì ma a sera Calenda la annulla: «Lo spirito era quello di riprendere il dialogo, ma in questo contesto è inutile e dannoso». Si è capito che era inutile farla viste le premesse: Renzi e Gentiloni restano su posizioni assai lontane, Marco Minniti (che è il candidato su cui Renzi puntava davvero, per sconfiggere Zingaretti) ha detto chiaro e tondo ad interlocutori molto autorevoli del Pd che «non se ne parla neppure» di una sua candidatura, e negli ultimi giorni ha avuto più di un abboccamento con lo stesso Zingaretti. La soluzione più lineare, che lo stesso Calenda aveva sostenuto, era quella di eleggere segretario del Pd, dopo la batosta elettorale, il premier uscente Gentiloni: l'unico che avrebbe messo d'accordo tutte le anime in pena del Pd, e l'unico che conta ancora su sondaggi di popolarità forti. Gentiloni, sia pur più per senso del dovere che per entusiasmo, era disponibile, a patto che la decisione fosse unanime: Renzi però non ha dato il suo via libera all'ingombrante successore, e l'operazione è fallita. Lasciando il Pd e gli stessi renziani, privi di un candidato credibile, nelle peste. La cena non si è fatta, probabilmente non si farà, ma è riuscita comunque a creare molti malumori. L'ha presa malissimo Dario Franceschini, ex ministro e importante capocorrente, ma non invitato: «È nero», dicono i suoi. L'ha presa male anche Maurizio Martina, segretario pro-tempore ma anche lui non invitato: «Come devo interpretare questa esclusione?», ha chiesto agli organizzatori. Nel frattempo, Martina ha troncato sul nascere le voci interessate che parlavano di rinvio del congresso Pd: il congresso si farà e presto, all'inizio del prossimo anno, ha annunciato. Un bell'assist a Zingaretti, che teme manovre dilatorie dei renziani per bloccarlo. Renzi intanto sbuffa: «Il governo leva i vaccini e i nostri discutono di cene? Roba da matti».

A riprova che di cena della pacificazione proprio non era aria.

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