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La guerra segreta di Salvini tra scambi e patti con il Colle

La finta fronda M5s ha dato l'ok al decreto Sicurezza E il leader leghista tratta col Quirinale: Moavero all'Ue

La guerra segreta di Salvini tra scambi e patti con il Colle

Do ut des: di ricatto in compromesso, di compromesso in ricatto la maggioranza gialloverde naviga a vista tra gli scogli nelle aule parlamentari.

Incassato il cosiddetto ddl «anticorruzione», tra mille mal di pancia leghisti, ieri i Cinque Stelle hanno concesso a Matteo Salvini il via libera al sospirato decreto Sicurezza. La finta «fronda» dei 18 deputati grillini che, in un'accorata lettera al capogruppo, avevano confidato dubbi politici e tormenti etici sul provvedimento è stata prontamente disinnescata: come un sol uomo, e senza un sospiro, i diciotto prodi hanno buttato nel cestino i loro emendamenti, rimuovendo gli ostacoli sulla via del decreto-bandiera salviniano. A riprova che il sospetto che i «dissidenti» fossero pilotati dall'alto per tenere sulla corda la Lega era probabilmente fondato. A quel punto, il decreto è stato blindato e la maggioranza ha chiesto di interrompere subito l'esame degli emendamenti in commissione per spedirlo in aula, dove lunedì verrà messa la fiducia per troncare la discussione e approvarlo senza incidenti prima della sua data di scadenza, il 3 dicembre. Le opposizioni, cui è stata tolta la voce, protestano con veemenza, il Pd abbandona la commissione per protesta: «Dopo aver discusso solo 5 emendamenti su 600 la maggioranza insiste per chiudere entro stasera un testo che comunque non sarà discusso in aula per la fiducia. Abbiamo chiesto di lavorare nel weekend, ma ci è stato negato», denuncia il dem Stefano Ceccanti.

Ma la via crucis di una maggioranza che si trova già costretta ad andare avanti a colpi di fiducia (smentendo tutte le sue promesse in materia) non finisce certo qui. Lo «spazzacorrotti» è ancora in alto mare: servirà un voto di fiducia al Senato per cancellare l'emendamento sul peculato che ha fatto andar sotto il governo a voto segreto, e ripristinare il testo originario. E poi ne servirà un altro alla Camera per il varo definitivo. «A dicembre, massimo gennaio sarà legge», giura Di Maio. Ma di mezzo c'è la sessione di Bilancio, una manovra ancora tutta da scrivere e le montagne russe della trattativa con l'Ue.

Dietro le quinte, poi, c'è il malessere che monta nella Lega contro quelli che un ministro del Carroccio chiama sbrigativamente «quei dementi dei grillini», e la preoccupazione per la crescente insofferenza dei ceti produttivi del Nord per le «follie» del reddito di cittadinanza, i veti alle grandi opere, i risultati catastrofici prodotti dal decreto «dignità» di Di Maio, il precipitoso rallentare dell'economia. «I piccoli imprenditori si stanno incazzando con il governo», confida a Huffington Post il ministro Lorenzo Fontana. La pressione su Salvini perché faccia saltare il tavolo e chieda il voto anticipato cresce, e le prossime elezioni di febbraio in alcune regioni vengono viste come un utile test preliminare.

Ma per andare a nuove elezioni politiche bisogna convincere il Quirinale a dare via libera e a non cercare soluzioni alternative, in un Parlamento terrorizzato dallo scioglimento. E c'è già chi, in casa Pd ma anche nel M5s, sussurra di un «patto» possibile tra Lega e Quirinale: Salvini si impegna a nominare commissario Ue, dopo le Europee, una personalità di comprovata esperienza ed equilibrio, che goda della stima delle Cancellerie dell'Unione, e il nome che si fa è quello del ministro degli esteri Enzo Moavero.

E, in caso di successiva crisi di governo, la strada verso il voto anticipato potrebbe diventare più agevole.

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