Cronache

"Ho il cancro, non posso controllare tutto"

Nicola Mendelsohn, 46 anni: "La parte più dura è stato dirlo ai miei quattro figli"

"Ho il cancro, non posso controllare tutto"

«Zac è il più piccolo dei miei figli. E la sua prima domanda è stata: morirai? È il pensiero che ti viene sempre in mente quando senti la parola cancro». E stavolta la parola è tuonata alle orecchie della donna più potente dell'industria tecnologica britannica. Non che faccia grande differenza. Ma Nicola Mendelsohn (da nubile Nicola Sharon Clyne), 46 anni, da qualche ora non è più solamente la vicepresidente di Facebook in Europa, la numero uno nel continente, non è più solamente il volto del social network più diffuso al mondo. Da quando ha deciso di raccontare la sua storia personale, Nicola è una delle milioni di pazienti in lotta contro un tumore. Uno di quelli più gravi, che lei stessa definisce «incurabile», un termine che la ricerca sta tentando quotidianamente di cancellare dal vocabolario dei malati di cancro.

Linfoma follicolare, un tumore a sviluppo lento dei globuli bianchi. È questa la diagnosi che poco più di un anno fa ha spezzato la quotidianità di una famiglia ambiziosa quanto ordinaria. Sì, perché Nicola è una donna all'apice di una importante carriera nell'industria tech, sposata a un uomo altrettanto potente, Jonathan Mendelsohn, membro della Camera dei Lord di Londra, laburista, costretto recentemente a lasciare il suo posto di portavoce della Camera alta per il commercio internazionale per aver partecipato alla cena dello scandalo, l'evento di beneficienza del President Club in cui alcune giornaliste infiltrate hanno dimostrato di essere state pesantemente molestate. Ma questa è un'altra storia. Perché oltre il lavoro e la vita pubblica, c'è quella privata. Nicola e Jonathan hanno quattro figli, fra i 13 e i 20 anni. E questa è stata la parte più difficile che hanno dovuto affrontare una volta scoperta la malattia di lei. Raccontarlo a loro. «Una conversazione che non avrei mai immaginato di avere coi miei figli, nemmeno nei miei incubi peggiori - racconta -. Fino a che non mi ha colpito dritto in faccia. È stato il momento peggiore della mia vita».

«Nel nostro gruppo di lavoro ogni tanto ci definiamo guerrieri». E alla fine succede anche alle guerriere come lei di farsi la domanda più ovvia e drammaticamente più inutile che ci sia: perché a me? «Quando il dottore mi ha parlato ho pensato: sono in forma, sono giovane. Sembrava un brutto sogno da cui potevo ancora svegliarmi». Invece il risveglio è arrivato ma è stato quello della consapevolezza. Essere ammalata di un tumore poco conosciuto «ma non raro e che non ha cure». Raccontare la propria storia, «nella speranza che aiuti a una maggiore comprensione» e che spinga la ricerca. Anche se «è dura, quando parli di quanto la gente possa cogliere il proprio destino, che ti venga ricordato che ci sono cose che non puoi controllare». Ma che puoi combattere sì.

Ed è questa la guerra da vincere.

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