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Hong Kong, cortei e arresti Xi: "La sovranità è cinese"

Nella ex colonia decine di migliaia chiedono di avere più libertà. Ma per Pechino è «inammissibile»

Hong Kong, cortei e arresti Xi: "La sovranità è cinese"

Un tripudio di fuochi d'artificio rigorosamente rossi ha marcato il ventesimo anniversario del passaggio di Hong Kong dalla sovranità britannica a quella cinese. Il colore dominante della presunta festa - che per la maggior parte dei residenti della ex colonia di Londra non è affatto tale - serviva ovviamente a ricordare agli hongkonghesi chi comanda realmente in casa loro, al di là delle formalità sempre più tali sui cinquant'anni di regime transitorio durante i quali Pechino si è impegnata a rispettare alcune libertà e diritti della persona che Hong Kong ha ereditato da Londra e che nella Cina rossa vengono regolarmente calpestati.

Ma la verità è che non sono bastati vent'anni agli abitanti di Hong Kong per abituarsi al nuovo padrone e per rassegnarsi alle sue regole illiberali. Questi vent'anni sono stati segnati da elezioni inutili (perché alla fine comanda sempre Pechino e i leader locali vengono scelti laggiù) e da manifestazioni studentesche imponenti in favore della libertà come la intendiamo qui in Occidente, che sono servire solo a dare l'amara misura dell'impotenza di chi non si rassegna.

Anche ieri, in contemporanea con l'arrivo a Hong Kong del leader della Cina rossa Xi Jinping, si sono tenute manifestazioni di questo tipo, cui hanno partecipato decine di migliaia di persone (comunque meno che in passato: ormai la disillusione ha preso piede). Nella peggiore tradizione comunista, i manifestanti sono stati aggrediti da attivisti filocinesi e i loro capi arrestati dalla polizia. Tra loro c'era anche Joshua Wong, il giovanissimo leader della «rivoluzione degli ombrelli» del 2014, che era già stato fermato mercoledì, per aver protestato contro l'arrivo del numero uno di Pechino: con lui sono finiti dietro le sbarre anche i leader dei partiti liberale e socialdemocratico di Hong Kong.

I manifestanti chiedevano più libertà e il rispetto degli accordi «un Paese due sistemi» che Pechino e Londra firmarono nel 1997. Un dimostrante ha spiegato a un giornalista del quotidiano britannico The Guardian che i cinesi «non stanno solo umiliando noi di Hong Kong, ma anche il governo britannico», e ha chiesto a Londra di far sentire la sua voce.

Xi Jinping ha colto l'occasione per chiarire agli illusi due o tre cose molto nette. «Qualsiasi tentativo di mettere in pericolo la sovranità e la sicurezza della Cina, sfidare il potere del governo centrale e l'autorità della Legge Basica di Hong Kong (la Costituzione) è un atto che attraversa una linea rossa ed è assolutamente inammissibile», ha detto il leader comunista cinese. I giovani che manifestano, ha aggiunto Xi, «dovrebbero avere una piena conoscenza della Costituzione»: in altre parole, aver chiaro che ciò che chiedono non sarà mai concesso per l'ovvia ragione che le regole che sfidano sono state fissate per attribuire a Pechino un controllo su Hong Kong che può essere esercitato solo limitando le libertà dei cittadini: se queste fossero rispettate, apparirebbe chiaro che la sovranità della Cina comunista è per loro un abuso.

Proprio ieri, intanto, ha giurato (in mandarino e non nel cantonese che si parla a Hong Kong) davanti a Xi la nuova leader della ex colonia britannica, Carrie Lam. L'ha designata una commissione ad hoc i cui membri sono in maggioranza nominati a Pechino. Per i prossimi 30 anni governeranno a Hong Kong personaggi di questo tipo.

Poi la commedia finirà e Hong Kong sarà definitivamente assorbita nella «madrepatria» rossa.

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