Politica

Huawei contrattacca e porta in tribunale il governo degli Usa

Fausto Biloslavo

Reti super veloci, telefonini, spionaggio, arresti, ricatti, denunce, la «guerra», non solo commerciale, fra Cina e Stati Uniti è senza esclusione di colpi. L'ultimo affondo è del colosso cinese Huawei, che ieri ha annunciato un ricorso legale contro il governo Usa per la messa al bando dei suoi prodotti, dai cellulari per l'amministrazione governativa alla rete 5G. «Il bando non è soltanto illegale, ma impedisce alla Huawei di impegnarsi in una competizione equa con danno per i consumatori americani», ha dichiarato il presidente a rotazione del colosso delle telecomunicazioni, Guo Ping, dal quartier generale di Shenzen.

Il ricorso è stato presentato presso la corte distrettuale di Plano, in Texas, dove si trova la sede americana della società di telecomunicazioni cinese. La mossa è stata approvata dal governo di Pechino nell'escalation dello scontro strategico con Washington che cerca in tutti i modi di fermare l'espansione della rete super veloce 5G a livello globale considerandola un cavallo di Troia per la sicurezza. I mandarini comunisti utilizzano il diritto, che vige solo nelle democrazie, ma dalle parti di Pechino viene rigorosamente piegato ai voleri del potere.

«Il governo Usa ci ha etichettati da tempo come una minaccia. Ha hackerato i nostri server e rubato le nostre email e i codici sorgente» attacca Guo Ping. A nome di Huawei il presidente a rotazione sostiene che il Congresso e governo americani «non hanno mai fornito alcuna prova a sostegno dell'accusa secondo cui la società porrebbe una minaccia per la sicurezza informatica». Se il bando venisse ritirato «come dovrebbe, Huawei può portare negli Stati Uniti tecnologie più avanzate e aiutare a costruire le migliori reti 5G favorendo così il consumatore americano» spiega il presidente di turno.

In realtà la mossa legale è collegata all'arresto lo scorso dicembre in Canada, di Meng Wanzhou, direttore finanziario e figlia del fondatore di Huawei, l'ex ingegnere dell'Esercito popolare cinese, Ren Zhengfei. Non a caso l'annuncio del ricorso è stato reso pubblico con una conferenza stampa poche ore dopo la prima apparizione in aula della donna ricercata dall'Fbi. Sulla sua testa pendono ben 13 capi d'accusa, che vanno dall'aggiramento delle sanzioni Usa all'Iran fino al furto di tecnologia della concorrenza americana.

Il padre di Meng ha bollato l'arresto della figlia come «politicamente motivato», durante un'offensiva mediatica globale che voleva presentare il volto buono della Huawei. E ieri il governo di Pechino ha definito il riscorso della società contro il governo degli Stati Uniti «totalmente ragionevole e comprensibile».

Dopo l'arresto della responsabile finanziaria in Canada i mandarini comunisti hanno usato metodi più affini al loro regime. Nei giorni scorsi i cinesi hanno formulato nel dettaglio le accuse di spionaggio nei confronti di due cittadini canadesi, l'ex diplomatico Michael Kovrig e l'uomo d'affari Michael Spavor, arrestati come rappresaglia al fermo di Meng, anche se Pechino smentisce seccamente.

La battaglia si inasprisce in vista dell'8 maggio quando a Vancouver si deciderà sull'estradizione della figlia del fondatore della Huawei negli Stati Uniti.

In realtà la decisione finale, anche se i giudici concederanno il via libera, sarà politica e spetterà al ministro della Giustizia canadese.

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