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Senato, fronda dem sulle barricate

I bersaniani non cedono, in bilico anche l'aiuto di Ncd

Senato, fronda dem sulle barricate

Roma - La riforma del Senato è ancora nel pantano. La minoranza del Pd continua a rappresentare il tallone d'Achille del premier Matteo Renzi e non pare intenzionata ad accettare compromessi al ribasso sull'elezione diretta dei senatori. La proposta del listino è già bocciata sul nascere. «No a pastrocchi costituzionali - attacca il senatore Miguel Gotor - È consigliabile raggiungere un accordo preventivo sulla modifica dell'articolo 2 perché in aula esiste una larga maggioranza a favore dell'elezione diretta dei nuovi senatori ma anche sul superamento del bicameralismo perfetto che è l'obiettivo comune da raggiungere». Insomma i bersaniani ricordano al premier che ha bisogno anche del loro voto per andare avanti. Oltretutto pure se Renzi incassasse l'approvazione del ddl Boschi ma con un Pd di fatto spaccato la sua potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro. Una riforma costituzionale priva della condivisione non solo di tutto il Parlamento ma addirittura del proprio partito non sarebbe un bel biglietto da visita anche in vista delle prossime elezioni. «Non esiste alcun negoziato - insiste pure un altro senatore della minoranza, Massimo Mucchetti - occorre riformare l'articolo 2 per sancire in Costituzione l'elezione diretta del Senato». Richieste che i renziani non intendono prendere in considerazione. «Basta veti - sbotta il senatore Andrea Marcucci - Non si può reclamare l'unità del Pd sulle riforme e poi tornare a porre veti». Renzi di fronte alle barricate degli irriducibili della minoranza sceglie la strada dell'ironia. «Questo è stato un lungo anno di contestazioni - dice il premier - la mia minoranza con invidiabile senso di coerenza non ha mancato di contestarmi ad ogni occasione». Insomma Renzi deve tirare fuori un altro coniglio dal cappello per aggirare l'ostacolo rappresentato dai suoi stessi senatori, i 28 dissidenti, che incontrerà martedì per riuscire a portare a casa il ddl Boschi. Il premier gioca su più tavoli (uno con la minoranza Pd, un altro con l'Area popolare di Alfano e anche uno più defilato con Forza Italia) ma la puntata massima l'ha messa sulla riforma costituzionale ed è lì che non può permettersi di perdere perché a cascata si bloccherebbe tutto il resto. Oggi a Milano per la chiusura della Festa dell'Unità il premier avrà modo di tastare il polso della situazione ma intanto tocca a Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, ricordare quanto sia «decisivo trovare un accordo che eviti uno scontro interno al Pd che non verrebbe capito dai nostri elettori e dai militanti». Tenuto conto delle notevoli differenze Renzi non è il solo a dover fare i conti con gli attriti interni al suo partito.

Angelino Alfano infatti subisce pressioni opposte: da un lato i filo governativi come Beatrice Lorenzin e Fabrizio Cicchitto che puntano ad un'alleanza strategica con il Pd e dall'altra Lupi, Schifani e Giovanardi convinti che l'abbraccio con la sinistra sarebbe mortale e che l'obiettivo debba restare l'unità del centrodestra.

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