Cronache

"I bulli si sono ravveduti": Carolina si è uccisa e i suoi assassini sono liberi

Reato estinto per i 5 ragazzi che hanno spinto al suicidio la 14enne. Il papà: "Ora è un simbolo"

"I bulli si sono ravveduti": Carolina si è uccisa e i suoi assassini sono liberi

Si sono pentiti di aver bullizzato una loro amica di 14 anni che, esasperata dalle offese ricevute dai social, si è suicidata. Per questo il loro reato si è estinto ed il tribunale ha pronunciato una sentenza di «non doversi procedere».

Come una macchia ripulita con un colpo di spugna, non esiste quindi più reato per quei cinque ragazzi, all'epoca dei fatti - che risalgono al gennaio del 2013 - tutti minorenni come la vittima, Carolina Picchio di Oleggio in provincia di Novara. Erano accusati a vario titolo di stalking, diffamazione, produzione e diffusione di materiale pedopornografico, morte come conseguenza non voluta derivante da commissione di altro reato. Durante il processo, nel 2016 avevano chiesto ed ottenuto la «messa in prova» con un percorso di recupero, previsto per i minorenni, per un periodo variabile da 15 a 27 mesi. Tra loro c'è chi l'ha concluso da tempo, anche con uno sconto di alcuni giorni per una sorta di buona condotta. L'ultimo ad aver ultimato la messa in prova, è stato l'ex fidanzatino di Carolina. Qualcuno ha dato una mano in una mensa per i poveri, altri hanno aiutato ragazzi con disabilità, oppure seguito adolescenti con problemi dell'età, hanno fatto sedute con la psicologa e continuato a frequentare la scuola.

E secondo il giudizio degli esperti, in questo periodo, i ragazzi si sarebbero pentiti di quanto fatto, capendo la gravità degli atti di bullismo.

Di questi sei anni di dolore e di lotta da parte dei genitori, restano le foto sorridenti di Carolina, la studentessa che angosciata dagli insulti e dagli atti persecutori ricevuti via web e messi in atto nei suoi confronti da cinque bulli, si è gettata dalla finestra di casa sua, al terzo piano di una palazzina di Oleggio. Prima del suo tragico gesto, Carolina aveva scritto un messaggio: poche frasi ma pesanti come un macigno. «Le parole fanno più male delle botte, cavolo se fanno male», aveva scritto come atto di accusa la ragazzina prima di andare incontro alla morte.

A porre fine a questa vicenda - almeno nelle aule giudiziarie ma non certo nel cuore di chi amava Carolina -, è stato il tribunale dei minori di Torino che ha appunto messo in atto il procedimento per effetto dell'esito positivo della messa alla prova, che prevede la misura premiale dell'estinzione del reato. Le loro vite, quindi, non saranno segnate da precedenti penali e non ci sarà traccia di quelle condotte nel casellario giudiziale. Come se nulla fosse accaduto. «Dopo quasi sei anni, oggi si chiude un cerchio - ha detto Paolo Picchio, commentando la sentenza nei confronti dei cinque minorenni che istigarono sua figlia Carolina a suicidarsi -. Con il suo gesto e con la lettera che ha lasciato, Carolina è diventata un simbolo. Oggi sappiamo che il cyberbullismo, nella sua forma più crudele, non può essere derubricato a semplice ragazzata perché le parole fanno più male delle botte. Nel nome di mia figlia si è celebrato il primo processo in Europa sul cyberbullismo, a lei è stata dedicata la prima legge a tutela dei minori in materia di cyberbullismo, eppure questo non basta. Ecco perché abbiamo costituito una No Profit, Fondazione Carolina, con i massimi esperti in capo educativo, formativo, giuridico e comunicativo.

Perché oggi come oggi non esiste distinzione tra reale e virtuale».

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