Politica

I capricci da pollaio dei burocrati esattori

Agenzia delle Entrate nel caos

I capricci da pollaio dei burocrati esattori

Nella mia esperienza di ministro delle Finanze e di presidente di commissione Finanze e Tesoro del Senato, non mi era mai accaduto di vedere nulla di simile a ciò accade ora. Con la diatriba fra la direttrice dell'Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi che dichiara che la legge sull'aumento del limite al contante lede l'autonomia dell'Agenzia, il sottosegretario all'Economia Zanetti che dichiara che deve dimettersi (sia per questa dichiarazione sia perché dà ragione a 400 dirigenti temporanei che fanno causa al ministero) e il ministro dell'Economia che difende la direttrice contro il proprio sottosegretario. Tutto ciò con pubbliche dichiarazioni, a ridosso di due scadenze fondamentali: le dichiarazioni dei redditi di novembre e la legge di Stabilità per il triennio 2016-2018 che coinvolge l'intero sistema tributario, senza che ancora si sappia quanto saranno entrate e spese nel 2016.

La direttrice Orlandi non deve fare dichiarazioni pubbliche contro le leggi che riguardano il prelievo delle entrate. La sua posizione contro l'aumento della soglia del contante è priva di basi tecniche. Gli intermediari finanziari, in base alla legge vigente, devono segnalare i prelievi di contante di entità sospetta, quindi il controllo rimane. Certo, è sempre utile conoscere le opinioni di un alto funzionario dotato di molta esperienza che viene dalla gavetta. Tuttavia ci sono le apposite audizioni parlamentari per conoscere e discutere le opinioni dei capi delle agenzie.

D'altra parte il sottosegretario alle Finanze non dovrebbe prendere una posizione pubblica, come la pesante richiesta di dimissioni del capo dell'Agenzia delle Entrate, senza che ne sia autorizzato dal ministro. È un tema da trattare con riserbo, anche per non dare al contribuente e agli analisti finanziari la sensazione di caos nella macchina fiscale. Il ministro che dà ragione alla direttrice dell'Agenzia delle Entrate ha la competenza per farlo. Però dovrebbe spiegare il perché le dà ragione e soprattutto perché solo ora si occupa di una questione che riguarda oltre 400 dirigenti della sua amministrazione fiscale, che protestano perché la loro posizione è resa incerta degli effetti di una sentenza della Corte costituzionale che risale allo scorso marzo. Tale sentenza ha dichiarato illegittima la nomina a dirigente temporaneo di circa 700 dirigenti delle Entrate, fatta nel febbraio del 2012 dal governo Monti. Perché si tratta di incarichi senza concorso, ma temporanei che per prassi sono stati continuamente rinnovati. In questo caso sono privi di una scadenza certa, perché cessano all'atto dell'assunzione dei nuovi dirigenti, nominati sulla base di concorso. Dato che non si sa quando i vincitori dei concorsi prenderanno servizio, non si sa quanto dureranno le nomine «provvisorie».

A me pare che sia interesse dello Stato l'avere funzionari e dirigenti fiscali, dotati di nomine stabili e certe. Ma che cosa succeda ai dirigenti temporanei degradati, la Corte non lo dice: toccava e tocca al governo, il provvedere in merito. Il premier avrebbe dovuto occuparsene, dato che si presume che sia informato delle sentenze della Corte costituzionale, in specie quando riguardano la macchina tributaria, senza cui nessun ministero può raccogliere le entrate e garantire il debito pubblico. In particolare, si sarebbe dovuto (e si dovrebbe) stabilire che questi dirigenti non debbono restituire il maggior stipendio ricevuto, perché il lavoro di dirigente, di fatto, l'hanno svolto. Inoltre bisogna stabilire se e fino a quando essi possano dirigere, come reggenti, gli uffici di cui non sono più dirigenti.

Per un buon sistema tributario occorrono leggi semplici, certe, non quelle piene di bonus e di deroghe, che inventano gli attuali esperti, da cui derivano testi complicati con commi e sotto commi. Ma soprattutto ci vuole una macchina fiscale compatta e motivata.

L'attuale situazione dà la sensazione di boiardi che litigano fra loro, perché fanno parte di un governo privo di sia di un'ideologia politica sia di contatto con la vita quotidiana.

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