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I crac di Gigino, maestro di (sotto) Sviluppo

Ha peggiorato ogni crisi. Ecco le multinazionali che minacciano di andarsene

I crac di Gigino, maestro di (sotto) Sviluppo

Tasse, costo del lavoro e incertezza del diritto rendono l'Italia sempre meno attraente per le multinazionali. Il caos Autostrade, il tiramolla sulla Tav e il minuetto sull'Ilva hanno messo in guardia molti investitori dall'indirizzare i loro capitali verso il nostro Paese visto che gli accordi possono non essere rispettati e che basta un tratto di penna per mandare in fumo con una legge miliardi di investimenti. In fondo, i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico possono essere spiegati con questo tipo di atteggiamento anti-industriale propugnato da Luigi di Maio e dai suoi adepti.

Il caso più rumoroso, più per l'immaginario collettivo che per il numero di lavoratori coinvolti, è stato quello della Knorr di Sanguinetto, in provincia di Verona. I 78 dipendenti dello stabilimento sono stati licenziati dalla multinazionale Usa Unilever, che ha deciso di delocalizzare in Portogallo, dove il costo del lavoro è più basso. È lo stesso minimo comune denominatore della Whirlpool di Napoli, una delle tante storie di crisi industriale sottovalutata dal capo politico pentastellato. Già prima di Pasqua la multinazionale americana aveva comunicato l'intenzione di chiudere l'impianto. Il dramma è scoppiato a fine maggio e finora Di Maio ha ottenuto soltanto vaghe promesse, minacciando la revoca di 30 milioni di incentivi pubblici concessi tra il 2014 e il 2018, di conservazione del sito con i suoi 420 posti di lavoro ma senza un impegno effettivo della stessa Whirlpool a proseguire l'attività a pieno regime visto che la fabbrica è in perdita.

Il rischio di fuga e i tavoli di crisi hanno una spiegazione macroeconomica, ma Di Maio è sempre rimasto fermo, sperando che tutto passi. Lo stato confusionale al ministero dello Sviluppo economico è tale che a oggi non si sa nemmeno quanti siano le vertenze aperte a Via Veneto e quale sia il numero di lavoratori coinvolti. Il Sole 24 Ore li ha stimati in circa 210mila ma, ovviamente, non essendoci dati ufficiali non vi è un'assoluta certezza a riguardo.

Il pressapochismo è la cifra politica di Di Maio, una sorta di «re Mida al contrario». Tutto ciò di cui si occupa si trasforma in una tragedia. È il caso del rilancio dell'impianto ex Alcoa di Portovesme, passato alla svizzera Sider Alloys. Vi erano impiegati 600 operai (altri 400 nell'indotto) ed arrivato a produrre 155mila tonnellate di alluminio all'anno (per un giro d'affari da 500 milioni di euro). Occorre esprimersi al passato perché l'impianto è fermo dal 2012 in quanto, dopo un primo accordo siglato dall'allora ministro Carlo Calenda, che impegnava gli svizzeri a far ripartire le attività riassorbendo circa 370 dipendenti, pochi passi avanti sono stati compiuti per incastrare l'ultimo tassello, quello del costo dell'energia. Occorrevano incentivi per rendere conveniente la produzione in Sardegna. Inoltre il decreto del governo sulla decarbonizzazione ha vanificato l'accordo con Enel per la fornitura di energia.

La multinazionale americana Jabil, che opera nel campo dell'elettronica, sta ridimensionando il sito di Marcianise, in provincia di Caserta, rilevato dalla Ericsson nel 2015. Sono partiti i licenziamenti per 350 dei 700 dipendenti. Anche se l'azienda è in attivo e a Wall Street fa profitti, l'Italia non è un Paese market friendly e quindi chi può se ne va prima che la situazione peggiori del tutto.

Come hanno fatto la belga Bekaert e la turca Toksoz, proprietaria di Pernigotti.

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