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L'ostruzionismo dei repubblicani. Ma i dem insistono sull'impeachment

I deputati del partito del tycoon presentano mozioni a raffica per rimandare il voto finale. Il dibattito supera le 10 ore Donald twitta senza sosta: "Atroci bugie della sinistra"

L'ostruzionismo dei repubblicani. Ma i dem insistono sull'impeachment

New York - Donald Trump sta per diventare il terzo presidente della storia americana a essere messo in stato di accusa dopo Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998 (Richard Nixon si dimise nel 1974 prima del voto nell'ambito dello scandalo Watergate).

Tutto come previsto quindi, compreso il ritardo causato dall'ostruzionismo dei repubblicani che hanno tenuto la Camera a lungo in sospeso su una serie di mozioni volte a ritardare la votazione finale sul presidente. I membri del Grand Old Party hanno presentato anzitutto una richiesta per rinviare il dibattito sull'impeachment, respinta dall'aula a maggioranza democratica. Seguita poi da una serie di altre mozioni che hanno fatto slittare l'inizio del dibattito vero e proprio di circa tre ore. «Trump non ha lasciato altra scelta ai parlamentari se non perseguire il suo impeachment: ha violato la Costituzione e ha abusato dei poteri del suo ufficio per ottenere un beneficio politico personale a spese della sicurezza nazionale», ha accusato la speaker della Camera Nancy Pelosi aprendo in aula «solennemente e tristemente» il dibattito.

«Riuscite a credere che oggi sarò messo sotto accusa dalla sinistra radicale e dai fannulloni democratici, e non ho fatto niente! Una cosa terribile. Leggete le trascrizioni. Questo non dovrebbe mai più succedere a un altro presidente», ha tuonato The Donald su Twitter, aggiungendo: «Dite una preghiera». E ancora: «Che atroci bugie dalla sinistra radicale, questo è un assalto all'America e al partito repubblicano». Trump ha trascorso parte della lunga maratona alla Camera alla Casa Bianca, poi nel pomeriggio di ieri è volato a Battle Creek, in Michigan, stato cruciale per la sua rielezione, per tenere un comizio con lo slogan Keep America great, «Mantenere l'America grande».

Una buona notizia per il Commander in Chief è però arrivata dagli ultimi sondaggi: secondo una proiezione di Gallup, nonostante il rischio di impeachment, il gradimento di Trump sta salendo, con un aumento di sei punti percentuali (dal 39% di quando è iniziata l'indagine, all'attuale 45%). Inoltre, il 51% degli intervistati è contro la messa in stato d'accusa, numero che segna un +5% da quando Pelosi ha annunciato l'avvio dell'inchiesta.

Nel frattempo, alla vigilia del giorno più difficile della sua presidenza, Trump ha messo nero su bianco tutta la sua rabbia in una lettera di sei pagine inviata alla speaker, sua acerrima nemica, in cui ha obiettato contro i due articoli di impeachment. Ovvero abuso d'ufficio e ostruzione del Congresso per l'Ucrainagate, ossia le pressioni su Kiev per far indagare il suo rivale Joe Biden, oltre al blocco di testimoni e documenti nell'indagine. Il tycoon ha accusato i democratici di sovvertire la democrazia con «un colpo di stato illegale e di parte. Gli accusati nel processo alle streghe di Salem hanno avuto un procedimento più giusto», ha aggiunto nella missiva infuocata, in cui ha protestato contro la faziosa crociata che «rappresenta un abuso incostituzionale da parte dei deputati dem, senza pari nei quasi due secoli e mezzo di storia legislativa americana». Per Trump l'accusa di abuso di potere è una «invenzione completamente falsa e infondata» e quella di ostruzione del Congresso «assurda e pericolosa».

Pelosi, da parte sua, l'ha definita una lettera «ridicola» e nauseante.

Prima del voto della Camera, nella serata di martedì, in tutti i 50 stati Usa si sono tenuti oltre 600 raduni e marce, e ieri gli attivisti si sono dati appuntamento davanti a Capitol Hill a sostegno dell'impeachment di Trump, mentre all'interno l'aula discuteva la sua messa in stato d'accusa.

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