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"I feudi rossi elettorali sono un'idea superata Il Pd? Sta coi banchieri"

Il politologo Giorgio Galli: "Il Pci faceva credere che eleggendo un sindaco si creasse socialismo"

"I feudi rossi elettorali sono un'idea superata Il Pd? Sta coi banchieri"

Il tracollo del Pd nelle sue storiche roccheforti non l'ha sorpreso affatto: «Da una parte, l'elettorato è diventato sempre più di opinione e non più di appartenenza, quindi il voto è molto mobile, direi quasi volatile, tanto che l'idea di roccaforte elettorale si può considerare superata», spiega Giorgio Galli, tra i più importanti politologi italiani. «Ma c'è una seconda motivazione, che riguarda più nello specifico la sinistra italiana. E cioè che il Pd non è più percepito, come era stato per decenni il Pci, come un partito che difende i deboli, gli operai, i non privilegiati, ma al contrario come il partito amico dei banchieri».

E che quindi perde il voto storico nelle zone rosse.

«Mi ha colpito una coincidenza temporale la domenica del voto. Mentre gli italiani andavano stancamente alle urne, il ministro Padoan faceva una conferenza stampa per annunciare che il governo stanziava miliardi di euro per le banche in default. Io l'ho seguita, ho visto un Padoan molto imbarazzato. Faceva capire che le banche erano state saccheggiate dai banchieri e dai loro amici, ma che nessuno di loro rischiava niente, mentre lo Stato metteva i soldi per far fare ad un'altra banca, Intesa San Paolo, un buon affare. La vecchia narrazione del partito comunista, per cui eleggendo un sindaco si contribuisce alla grande marcia mondiale del socialismo, è ormai venuta meno. In compenso quegli stessi elettori di sinistra hanno capito che a comandare sono i banchieri, che non solo non pagano mai per le loro colpe, ma vengono aiutati dallo Stato».

In particolare, lei dice, dal Pd.

«Certamente molti elettori di sinistra sono convinti che il Pd di Renzi sia più vicino alle banche che non alle fasce più deboli. D'altra parte, il governo ha trovato in fretta i miliardi per Monte dei Paschi e per gli altri istituti in difficoltà, ma non per gli esodati».

Quindi la crisi della sinistra è colpa di Renzi.

«No, Renzi ha soltanto accelerato un processo di trasformazione del partito comunista che era già in corso, ed era iniziato con Occhetto e poi D'Alema. Col venire meno dei miti politici della sinistra una parte di quell'elettorato che credeva in quei miti ha smesso di votare. Nelle aree dove la partecipazione al voto è crollata, non è che il centrodestra abbia preso più voti del passato, ma piuttosto è il Pd ad averne presi molti meno, appunto perché una parte del suo elettorato ne percepisce un'immagine diversa».

Eppure, anche coalizzandosi con partiti più a sinistra, il Pd ha perso lo stesso.

«Ma infatti non si recupera questo elettorato semplicemente allargando la coalizione a sinistra. Pisapia e Bersani sono andati a fare campagna elettorale a Genova, ma non è servito. Forse un recupero è possibile, ma non ricostruendo vecchie coalizioni. Padova è un esempio in controtendenza, perché lì il centrosinistra ha presentato facce e idee nuove ed è stato premiato. Ecco, la fine della vecchia narrazione del socialismo investe non solo il Pd ma anche tutta la sinistra tradizionale, che ha bisogno di trovare una nuova narrazione».

Ma proprio Renzi doveva essere il mago della narrazione, il famoso storytelling.

«Ma una narrazione non si fa solo le slide e l'ottimismo a tutti i costi. Renzi ha suscitato un comportamento collettivo con cui ha conquistato il Pd e poi ha avuto il suo massimo alle Europee, ma non è più proponibile».

Vuol dire che è arrivato a fine corsa?

«No, sarebbe un errore dare per archiviato Renzi. E così pure il M5s, che per le sue caratteristiche dà i risultati migliori alle Politiche, non si può certo considerare fuori dai giochi. Né Renzi né Grillo sono al tramonto».

Se il Pd ha perso il voto operaio, chi lo ha conquistato? Il centrodestra? Il M5s?

«È andato soprattutto nella astensione, il resto si è distribuito tra i tre poli, ma senza più ritenere che la sinistra meriti il voto operaio più degli altri».

Insomma nessuno può più di sperare di avere dei feudi inespugnabili.

«Una volta nelle ricerche distinguevamo tre tipi di elettorato: di appartenenza, di opinione e di scambio. Quello di appartenenza era maggioritario, mentre oggi col declino dei partiti tradizionali è quello di opinione a prevalere. Ed è molto più difficile prevedere come si muova.

Trent'anni fa fenomeni come quelli di Trump, votato dagli operai americani, o di Macron votato dal nord della Francia tradizionalmente di sinistra, sarebbero stati impensabili».

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