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I gilet gialli lanciano il partito Parigi: i violenti non vinceranno

Annuncio di una delle leader: si chiamerà «Les Emergents» Il governo promette 80mila agenti per arginare le proteste

I gilet gialli lanciano il partito Parigi: i violenti non vinceranno

Parigi Si sa ancora poco del partito politico dei gilet gialli. Ma il governo può considerare alleata la pasionaria e contestatissima ex portavoce del movimento, che ieri è tornata in video con un annuncio rassicurante per Emmanuel Macron. La donna dal milione di visualizzazioni su Facebook (virale il suo messaggio pubblicato il 18 ottobre di critica al presidente) si fa conciliante. L'ala dura dei gilet l'aveva già minacciata di morte per la disponibilità al dialogo con l'esecutivo dopo i primi fine settimana di proteste. «Per ora, nessuno statuto è stato depositato», dice Jacline Mouraud, ma il nome «Les Emergents» (Gli Emergenti) è considerato il più adatto per un partito.

«Ne verranno proposti altri e messi ai voti, ma dobbiamo iniziare con qualcosa. Che sia io o no a guidarlo, non mi interessa, l'importante è farlo nascere, raccogliere persone contro la violenza nel rispetto delle istituzioni». Un partito «del buon senso», dice la casalinga 51enne, «senza etichette» e con «nuove idee costruttive per il Paese» in armonia con «le sfide del cambiamento climatico» e lo «stop al culto dei consumi». L'obiettivo non sarebbero le europee ma le elezioni municipali del 2020 e non è la sola al lavoro per strutturarsi dopo il successo delle manifestazioni. A Marsiglia il fondatore dell'associazione «Gilets jaunes le Mouvement», Hayk Shahinyan, ha riunito una sessantina di gilet per costruire una forza politica con la benedizione di Bernard Tapie, che ha messo a disposizione i locali del quotidiano La Provence di cui è proprietario: «Una lista alle municipali è quasi certa, anche i più refrattari sono favorevoli», dice Shahinyan.

Intanto l'ex campione francese di boxe colpevole d'aggressione a due gendarmi nei tumulti di sabato scorso a Parigi (345 fermi, 281 arresti in tutta la Francia) si è costituito. «Ho reagito male, mi sono difeso», dice in un video Cristophe Dettinger, considerato dalla polizia non un gilet giallo (che neppure indossava) ma «una di quelle persone che vengono qui solo per colpire le forze dell'ordine». Identificato come membro della comunità nomade è stato arrestato e rischia fino a sette anni di prigione e 100mila euro di multa. In favore del pugile, però, una colletta on line ieri ha raccolto 65mila euro in poche ore su Leetchi. Mentre su Facebook in molti lodano il «coraggio» del «campione».

Clima tesissimo in vista del weekend. «All'ultra violenza opporremo l'ultra fermezza», commenta il ministro dell'Interno Cristophe Castaner mentre il premier Edouard Philippe annuncia «misure straordinarie» per fronteggiare nuove proteste: 80mila forze dell'ordine e 5mila poliziotti e gendarmi; più una nuova legge come per gli hooligans negli anni Duemila.

Il governo irrigidirà le sanzioni «contro teppisti e proteste non dichiarate». Invece un altro picchiatore seriale non andrà a processo: il comandante della brigata di Tolone impegnato sabato nel faccia a faccia con frange violente dei gilet e inermi passanti. Un giudice ha detto che la sua serie di pugni a un ragazzo di colore circondato dalla polizia (che stanno facendo il giro dei tiggì) rientrerebbero nel contesto. Non è la prima volta che Didier Andrieux si rivela violento. Molti colleghi gli attribuiscono metodi sbrigativi spesso fuori protocollo. «Pratica la boxe e considera la vita un ring - racconta un poliziotto - Sono stato vittima della sua violenza e l'amministrazione lo ha coperto. Era il luglio 2014, mi ha colpito con una gomitata al naso. Quando ho ripreso i sensi ero coperto di sangue». Ciò non gli ha impedito di ricevere la Legione d'Onore lo scorso 1° gennaio. Né di rifilare una testata a una donna in giubbotto fluo. Lei, 35 anni, lo ha denunciato referto alla mano: «Contusione del setto nasale e distorsione cervicale». Dieci giorni di collare ortopedico e due di «incapacità temporanea di lavorare». «Denunciatemi, non c'è problema, sono il comandante», diceva sabato a chi riprendeva le sue azioni col cellulare.

Ha avuto ragione.

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