Politica

I giudici spalancano le porte a chi delinque e poi sparisce

Una sentenza stabilisce che non si può procedere contro chi è irreperibile. Garantendo impunità ai clandestini

U n modo facile facile per garantirsi di non essere mai processati: rendersi irreperibile, svanire nella nebulosa del vagabondaggio e della clandestinità. Già tre anni fa il Parlamento aveva varato una legge che spediva nel limbo migliaia di processi considerati «inutili» a imputati introvabili. Ora la sentenza di un giudice milanese punta ad allargare a dismisura il numero dei processi che non si celebreranno mai, garantendo di fatto l'impunità perenne agli imputati.

Fino a pochi anni fa, chi non si presentava in aula il giorno del processo veniva dichiarato contumace e processato in sua assenza. Il sistema non garantiva granché il diritto alla difesa, e intasava le aule già affollate dei tribunali penali. Ma prima o poi la sentenza arrivava e veniva inserita nel casellario: e quando il colpevole - magari a distanza di tempo - incappava in un controllo qualsiasi, veniva portato a scontarla.

Nel 2014 il codice di procedura penale è stato modificato, prevedendo la sospensione del processo quando l'imputato non si trova: ma la nuova norma specifica che il processo invece va avanti se l'imputato ha avuto modo, durante le indagini, di nominare un difensore. La logica era chiara: se ha un avvocato, ha modo di tenersi aggiornato sugli sviluppi del processo. Se non si presenta in aula, fatti suoi.

Ma adesso ad allargare robustamente la rete arriva la sentenza «garantista» che il giudice milanese Guido Salvini ha emesso nel processo a carico di un algerino sorpreso dalla Guardia di finanza a spacciare euro falsi nel centro di Milano. Le fiamme gialle lo bloccano, lui dice di non avere documenti nè fissa dimora, viene identificato grazie alle impronte digitali. Lo denunciano a piede libero, perché il reato non prevede l'arresto in flagranza: ma prima gli nominano un difensore d'ufficio e gli spiegano che dovrà fare riferimento all'avvocato. E lui, come era prevedibile, svanisce nel nulla.

Il processo arriva sul tavolo del giudice Salvini, e qua arriva la svolta: il giudice dà atto che Achaib Wadi - si chiama così - ha nominato un difensore: ma, aggiunge, «vi è da chiedersi se da tale elezione di domicilio, del tutto formale se non fittizia, possa ricavarsi la prova della conoscenza da parte dell'imputato della celebrazione dell'udienza a suo carico». É vero che la legge stabilisce che il processo si faccia, ma Salvini dice che questa prassi «rischia di non rivelarsi, in concreto, in linea con la garanzia del diritto di partecipazione». Dal febbraio 2014, aggiunge, «dell'imputato non c'è più traccia» e lo stesso difensore «ha segnalato nel corso dell'udienza che non ha mai avuto alcuna concreta possibilità di mettersi in contatto col suo assistito». «La presunzione di conoscenza del processo da parte dell'imputato si basa quindi su un dato assai fragile».

Conclude il giudice milanese che «quello che si celebrerebbe è un processo ad un fantasma». Per questo l'udienza viene rinviata a novembre , ma già con la certezza che verrà rinviata un altra volta, e così di anno in anno, potenzialmente all'infinito. Nel frattempo il giovanotto resterà incensurato.

Lo stesso giudice autore della sentenza dà atto che i suoi colleghi del tribunale di Milano son quasi tutti di diverso avviso, e vanno avanti con i processi; ma intanto con la sua sentenza apre un precedente che altri magistrati potranno seguire, vista anche l'autorevolezza dell'autore (Salvini fu, per esempio, il giudice istruttore delle indagini su piazza Fontana).

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