Referendum indipendenza in Catalogna

I leader sono per Madrid. Quel "soccorso rosso" che tifa per Barcellona

Da Bruxelles sostegno a Rajoy e silenzio sui suoi metodi. Corbyn e Maduro con i "ribelli"

I leader sono per Madrid. Quel "soccorso rosso" che tifa per Barcellona

Gli indipendentisti catalani, nel giorno in cui la polizia mandata da Madrid usa la mano forte per impedire lo svolgimento di un referendum anticostituzionale, lamentano il silenzio dell'Europa. Vorrebbero che da Bruxelles si levassero voci a difesa del loro diritto all'autodeterminazione, e magari di denuncia della «violenza di Stato spagnola». E condannano una presunta posizione di indifferenza rispetto alle vicende catalane, soprattutto nel momento in cui queste rischiano di prendere una piega drammatica.

Le cose però non stanno esattamente così: la lagnanza può essere fondata con riferimento all'aspetto della violenza, che appare eccessiva in un teatro europeo, ma certamente non rispetto a una presunta indifferenza. I vertici europei e quelli dei principali Paesi dell'Unione, infatti, hanno preso da diversi giorni una posizione unanime e molto chiara in favore della legalità (ovvero della tutela degli interessi di tutti i cittadini spagnoli e non solo di quelli catalani) e quindi dell'uso degli strumenti per la sua difesa che in base alla Costituzione spagnola sono nelle mani del premier di Madrid.

Risalgono a non più tardi di due-tre giorni fa inequivocabili dichiarazioni del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker («Siamo molto impegnati nel rispetto dello Stato di diritto: la Corte costituzionale spagnola ha emesso una sentenza, il Parlamento spagnolo ha preso una decisione. Noi ci atteniamo a questo») e di quello del Parlamento europeo Antonio Tajani, secondo il quale «il referendum è inaccettabile perché va contro la Costituzione e perché è stato convocato con un colpo di mano ai danni delle opposizioni». Per Tajani, inoltre, «la Spagna non è un regime dittatoriale a cui ribellarsi richiamandosi a principi di libertà. Non è la Germania anni Trenta e non è l'Unione Sovietica». Nette anche le prese di posizione di Angela Merkel, che ha telefonato al premier spagnolo Mariano Rajoy per sostenerlo, e di Emmanuel Macron che ha espresso «fiducia in Rajoy in quanto unico interlocutore in Spagna».

È interessante, piuttosto, notare come a schierarsi in favore dei secessionisti catalani siano stati i rappresentanti di due filoni: quello dei movimenti politici autonomisti o indipendentisti, e un certo «soccorso rosso» internazionale che sceglie sempre di stare dalla parte di chi si ribella. Nel primo gruppo troviamo, accanto alla leader scozzese Nicola Sturgeon e ai baschi e ai sardi che si sentono fratelli dei catalani, anche i leghisti italiani da Salvini a Maroni a Calderoli, con quest'ultimo che arriva a invitare il governo italiano a interrompere le relazioni diplomatiche con Madrid. (Ma alla fine unica in Italia a prendere apertamente le parti della Spagna unitaria è Giorgia Meloni, che difende il concetto di patria come estremo baluardo alla «deriva mondialista»).

Nel secondo gruppo incontriamo vecchie conoscenze dell'estrema sinistra antioccidentale nel dna: il leader laburista britannico Jeremy Corbyn («La violenza della polizia è scioccante, cessi subito»), l'ex ministro delle Finanze greco Yannis Varoufakis («Madrid dovrebbe essere la migliore amica dei catalani e invece usa la forza»), fino allo spudorato autocrate chavista venezuelano Nicolas Maduro: l'uomo che chiude il Parlamento per tappare la bocca all'opposizione e che manda le sue squadracce armate ad ammazzare i dimostranti dileggia «Marianito Rajoy» e lo chiama «repressore e persecutore dei diritti del popolo catalano».

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