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I leghisti non ne possono più Ma Salvini non molla i grillini

I ministri del Carroccio in fibrillazione, il leader pressa per il rimpasto e punta Toninelli: «Gli servono dei vice»

I leghisti non ne possono più Ma Salvini non molla i grillini

Al di là delle parole ufficiali, i conti delle poltrone governative per Salvini non quadrano affatto. La Lega ha il doppio di voti dei Cinque stelle, da tempo chiede un cambio su tre dicasteri chiave in mano ai grillini (Infrastrutture, Difesa, Ambiente) eppure finora chi ha perso viceministri e sottosegretari (prima Siri poi Rixi) è stato proprio Salvini. Il rimpasto è un'ipotesi sul tavolo anche se Di Maio si irrita («Se la Lega vuole qualcosa lo chieda, altrimenti chiudiamo questa storia e tutti felici e contenti») e Salvini fa finta di abbozzare («Di Maio dice che non ci sarà un rimpasto di governo? Perfetto, io non chiedo niente). Ma appena viene il leader leghista fa capire che un cambio sarebbe molto apprezzato: «Mettere in discussione i ministri Cinquestelle? Non mi permetterei mai, questa è una valutazione che spetta a Luigi Di Maio e ai parlamentari M5S». Come dire: io non chiedo di dimettervi, fatelo voi. E poi sulle defezioni dei due leghisti Siri e Rixi alle Infrastrutture, causa problemi giudiziari, il ministro dell'Interno lamenta le lentezze di Toninelli, «ci vorrebbero due sottosegretari in più al Mit, se il ministro (Toninelli, ndr) non avesse tolto le deleghe ci sarebbero, ma ne riparliamo la prossima volta...» commenta Salvini, che poi lancia l'ennesima stoccata a Toninelli di cui farebbe molto volentieri a meno: «Sull'Alta velocità in Veneto? Chiedetelo voi se l'analisi costi-benefici è pronta. Io non l'ho capito».

In realtà c'è in ballo una nomina importante, quella di commissario Ue italiano (Giorgetti è un nome in corsa) che potrebbe far partire il valzer delle poltrone. Non solo, c'è anche il caso che riguarda il viceministro leghista Garavaglia, coinvolto in un processo per turbativa d'asta in qualità di ex assessore lombardo all'Economia. La sentenza è prevista per il 17 luglio. Il ruolo di Garavaglia nel governo, come numero due al Mef, specie con la manovra alle porte, è molto delicato anche per gli equilibri tra Lega e M5s. Le dimissioni in caso di condanna non sarebbero gestibili in modo tutto sommato semplice come nei due casi precedenti. Per questo molti pensano che quella potrebbe essere la scintilla per far scattare il rimpastino di governo (un'ipotesi fantascientifica dà addirittura Giorgetti al Tesoro e Tria spedito a Bruxelles).

Di certo, come segnalava Verderami sul Corriere citando un commento fatto da Salvini con i suoi, questo governo è il primo in cui «i ministri vogliono andarsene a casa». I ministri leghisti, si intende. Molti di loro infatti hanno ottimi motivi per lamentarsi dell'attuale situazione e sperare che Salvini stacchi la spina ai grillini per tornare al voto. A partire dal sottosegretario a Palazzo Chigi, Giorgetti, il più scettico sulla tenuta dell'asse gialloverde. Poi c'è la ministra delle Autonomia Erika Stefani su cui ricade il peso dell'enorme ritardo e continuo rinvio nell'attuazione dell'autonomia, votata da lombardi e veneti ormai due anni fa ma stoppata da Conte e dai grillini sudisti. Poi ci sono i ministri Giulia Bongiorno (Pubblica amministrazione) e Centinaio (Agricoltura e Turismo) che lamentano una eccessiva ingerenza da parte di Palazzo Chigi. Poi c'è il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, attaccato duramente da Di Maio e soci per le posizioni sulla famiglia tradizionale, espresse anche nel discusso Forum delle famiglie a Verona. La sua opinione sui grillini è pessima. Il paradosso è che se i leghisti vogliono andare al voto, il loro leader no.

Ai suoi riuniti nel federale ieri Salvini ha ribadito «che il governo va avanti», con il solito richiamo poi alla flat tax («Se qualcuno dicesse facciamo la manovra economica e non tagliamo le tasse, non la farebbe con me la manovra»), un'altra riforma leghista che gli alleati vogliono sabotare.

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