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I mille errori di Woodcock Ecco perché ora rischia

La carriera del pm è costellata di inchieste finite in nulla. Adesso sta per arrivare la resa dei conti

I mille errori di Woodcock Ecco perché ora rischia

L'assedio. Ormai un grappolo di eccellenze varie ha acceso i riflettori su di lui. C'è l'indagine Consip e ci sono gli accertamenti, le frecciate, le puntualizzazioni, quasi una controinchiesta sull'inchiesta Consip. Il trono di Henry John Woodcock traballa sotto i colpi che si susseguono. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri nota maligno che quando c'è una fuga di notizie non si scappa: o è la polizia giudiziaria o il pm. E a Gratteri si appoggia come a un pilastro il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che fotocopia il parere del magistrato. I sospetti corrono veloci: i falsi del capitano del Noe, i dubbi, la procura generale della cassazione che avvia, in un ingorgo di toghe, l'azione disciplinare contro il celebre pm. È la resa dei conti.

E c'è chi mette in fila gli insuccessi, i tonfi, le debacle collezionate in anni e anni di celebrata carriera.

VIPGATE

Anni e anni sulla breccia. Prima nella periferica Potenza, fino al suo arrivo fuori dai radar della cronaca giudiziaria. Poi a Napoli, spesso in tandem con pm altrettanto titolati. La prima zampata che sottrae il magistrato anglonapoletano all'anonimato della provincia è il cosiddetto Vipgate. Settantotto indagati con accuse altrettanto devastanti: associazione a delinquere per la turbativa degli appalti, corruzione, estorsione, altro ancora. Il parterre è impressionante: da Maurizio Gasparri a Nicola Latorre, insomma da destra a sinistra tagliando tutto l'emiciclo, l'ambasciatore Umberto Vattani, la giornalista Anna la Rosa, persino Tony Renis. Che mette le mani avanti: «Il mio avvocato mi aveva avvisato. Prima di Sanremo ti sospetteranno anche per il delitto di Cogne. Quasi ci siamo».

Gasparri sdrammatizza, alla sua maniera: «Potrei dire di essere in compagnia degli invitati alla Prima della Scala senza esserci neppure andato». Poi il gip smonta le tante connessioni e ridimensiona tutto l'impianto respingendo una quarantina di arresti. Il grande teorema si sfilaccia, le carte prendono, per competenza, la strada di Roma e qui vengono sepolte in archivio. I giornali, con scarsa fantasia, battezzano Woodocock nell'acqua dei suoi insuccessi: nasce Woodflop.

SAVOIAGATE

Sembra una fiction ambientata ai tempi del Terrore, nella Francia rivoluzionaria. Invece, siamo nel 2006 e a rotolare è la testa coronata di Vittorio Emanuele. I Savoia finiscono nella polvere insieme a secoli di gloriosa storia patria. I capi d'accusa sono imbarazzanti e parlano di gioco d'azzardo e sfruttamento della prostituzione, discipline non proprio regali. Il figlio dell'ultimo re d'Italia si ritrova in carcere, le sue intercettazioni, con i dialoghi sui sardi catalogati come «capre che puzzano», diventano virali e scalano le classifiche delle chiacchiere da bar. Poi il solito trenino della competenza si mette in moto; buona parte delle carte emigra a Como e qui accade l'incredibile: i faldoni vengono archiviati senza nemmeno andare a processo. Tecnicamente, si chiama proscioglimento. Il principe si prende una piccola grande rivincita, in bilico fra la cronaca meschina e la storia con la S maiuscola: viene risarcito dallo Stato italiano per l'ingiusta detenzione.

VALLETTOPOLI

È un'altra parata di stelle. Troppi nomi per chiuderli nel perimetro della cronaca giudiziaria. Dunque, come spesso capita quando partono i suoi blitz, Woodcock comincia col botto. Nei guai finiscono la soubrette Elisabetta Gregoraci, il portavoce di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile, Fabrizio Corona e Lele Mora. Woodcock si conferma un magistrato trasversale agli schieramenti, alle appartenenze, alla geografia: colpisce ovunque. Ma ad un certo punto, come nelle puntate precedenti, le carte vengono spacchettate e inviate in diverse città: Milano, Torino, Roma. A Milano Corona viene condannato, ma è un'eccezione. Gran parte delle accuse evapora.

LA MACCHINA DEL FANGO

Naturalmente, si parla del Giornale. Nel 2010 il pm anglonapoletano manda i carabinieri del Noe, sempre quelli al centro della querelle Consip, a perquisire gli uffici di Nicola Porro e del direttore Alessandro Sallusti. Per Napoli, Porro avrebbe minacciato (formalmente si procede per tentata violenza privata) l'allora presidente di Confindustria Emma Marcegaglia per costringerla, nientemeno, a concedere un'intervista. Con la collaborazione del direttore colpevole, addirittura, di aver firmato un editoriale. Un turbinio di interrogatori eccellenti accompagna lo scavo investigativo e lo studio alla moviola di alcuni sms inviati al portavoce della Marcegaglia, Rinaldo Arpisella. Il finale, nel 2016 a distanza di sei anni, è il solito: il vicedirettore del Giornale viene assolto come da richiesta del pm. Non a Napoli, ma a Roma, dove il fascicolo, tanto per cambiare, è emigrato. La posizione di Sallusti invece era già stata archiviata. Insieme al fango.

LA PICCOLA SPECTRE

Un lobbyista del calibro di Luigi Bisignani. Un deputato e un militare del Ros. I loro rapporti obliqui sono la trama di un'associazione segreta. La P4, suggestiva sin dal nome carico di oscuri retaggi. Ma la storia non si ripete: restano i reati, l'associazione occulta svanisce.

IL GENERALE TROMBATO

È l'ultimo capitolo di una lunga saga. Che ripropone gli stessi collaudati meccanismi: il generale delle Fiamme gialle Vito Bardi entra negli ingranaggi dei pm di Napoli per corruzione. La stampa si scatena: torbidi scenari, zone d'ombra, mappa delle frequentazioni altolocate. Bardi si gioca l'ascesa alla carica di comandante generale del corpo. Va più modestamente in pensione e toglie il disturbo. Come le accuse. Questa volta è lo stesso Woodcock, con il collega Vincenzo Piscitelli, a riconoscere che non c'è ciccia.

Troppo tardi per la carriera.

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