Politica

I nostri magistrati al Cairo: aperte tutte le piste

Missione delle toghe in Egitto, ma la tensione col governo resta alta

Riccardo PelliccettiUn ultimo tentativo prima della rottura. Questo in sintesi l'obiettivo della missione al Cairo del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e del sostituto Sergio Colaiocco, invitati dalle autorità egiziane per condividere i risultati delle indagini sulla morte del ricercatore universitario Giulio Regeni. I magistrati italiani hanno incontrato ieri il procuratore generale egiziano Nabil Sadeq e il team della procura di Giza, che conduce l'inchiesta sul delitto. Gli inquirenti egiziani hanno presentato un dossier che comprende «tutte le indagini dei servizi di sicurezza, le deposizioni dei testimoni, degli amici di Regeni, dei vicini di casa, e di colui che ha trovato il corpo, così come il rapporto del medico legale sulle ferite della vittima e le circostanze della morte. E ancora i rapporti delle compagnia di telefonia mobile sulle telefonate fatte e ricevute prima della scomparsa, i documenti delle forze dell'ordine sui suoi spostamenti negli ultimi giorni». Dai documenti presi in esame dal procuratore capo di Roma ci sarebbe anche la testimonianza dell'ingegnere Mohamed Fawzi, il quale avrebbe assistito a «un'accesa discussione» tra Regeni e un altro straniero» dietro la sede del consolato italiano del Cairo il 24 gennaio, cioè giorno prima della scomparsa del ricercatore italiano. Secondo il testimone, la discussione sarebbe degenerata in «una scazzottata», che non sarebbe stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza della nostro consolato perché erano fuori uso dopo l'attentato che ha subito. Dopo l'incontro, il procuratore di Giza, Ahmed Nagui, ha dichiarato che i colloqui con i magistrati italiani sono stati positivi. Egitto e Italia - ha detto - «hanno lo stesso obiettivo, quello di trovare i responsabili» della morte di Giulio Regeni. Le due parti «si sono scambiate informazioni sull'assassinio» e «tutte le piste restano aperte». Ma è ancora presto per affermare che il bilancio dell'incontro al Cairo sia stato positivo. Per ora non ci sono state dichiarazioni degli inquirenti italiani, che dovranno valutare i documenti messi a disposizione dalle autorità giudiziarie italiane. Se fossero ritenuti insufficienti o incompleti, com'è accaduto finora, potrebbero scattare le prime iniziative italiane, per esempio il ritiro del nostro team investigativo che da oltre un mese cerca senza successo di ottenere collaborazione dagli investigatori locali. Ma il governo potrebbe scegliere anche una strada diplomatica più intransigente, anche se fino a oggi è stato escluso il ritiro del nostro ambasciatore al Cairo. È comunque improbabile che si protragga la linea morbida tenuta finora, soprattutto dopo l'intervento del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e del premier Matteo Renzi, il quale aveva detto senza mezzi termini di non volersi «accontentare di una verità artificiale e raccogliticcia», aggiungendo che «non c'è verità di comodo, non c'è business, non c'è diplomazia che tenga». Dopo la condanna del Parlamento europeo, ieri è scesa in campo anche la Germania. «La vicenda dell'uccisione di Giulio Regeni ha affermato l'ambasciatore tedesco al Cairo, Julius Georg Luy non preoccupa solo l'Italia, ma tutti i Paesi che hanno loro studenti impegnati in Egitto.

Apprezziamo il suo ruolo nella regione ma la stabilità non si realizza che con il rispetto dei diritti umani».

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