Economia

Ma i nostri risparmi sono a rischio?

Per controllare la sicurezza degli investimenti, c'è il rendiconto della banca. E le obbligazioni si testano anche online

Ma i nostri risparmi sono a rischio?

Il crac delle azioni e delle obbligazioni subordinate delle quattro banche «salvate» (Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti) con il cosiddetto «decreto salva-banche» ha riproposto il problema della trasparenza dei prodotti finanziari sottoscritti dalle famiglie italiane. Che titoli ho davvero in portafoglio? È questa la domanda che ogni piccolo risparmiatore si sta ponendo in questi giorni, con l'apprensione tipica di chi non sempre conosce effettivamente tutti i rischi connessi ai titoli acquistati. Il modo migliore (e più rapido) per ottenere una prima radiografia della propria situazione è quello di consultare il rendiconto trimestrale che ogni banca deve per legge trasmettere (in forma cartacea o via e-mail) a ogni singolo correntista. La voce da controllare è quella dove si specifica la composizione del portafoglio: «Investimenti azionari, obbligazionari, liquidità e altri strumenti». Occorre quindi leggere il dettaglio di ciascuna di queste quattro voci. Nel caso di dubbi o se compaiono obbligazioni di cui non si conosce la natura, il modo per avere la certezza che non si tratti di titoli subordinati è quello di «verificarli» utilizzando l'«Isin». Si tratta del «codice alfanumerico unico», riportato nell'estratto conto accanto a ciascun titolo in portafoglio, che permette di rintracciarne il prospetto informativo, anche online. In caso di dubbi chiedere subito al proprio consulente di fiducia. Ma vediamo quali altri strumenti potremmo avere in portafoglio e quali rischi si corrono.

Attenzione alle azioni non quotate. Meglio puntare sui big del listino

L'azionista accetta, per definizione, di correre il rischio di perdere anche tutto il capitale investito al fine di conseguire un guadagno superiore a quello che prospettano le obbligazioni. Tutte le azioni non sono tuttavia uguali, non solo in termini di «qualità»: un conto è acquistare un titolo di un big della Borsa e un altro uno di una piccola società. Un discrimine è infatti se si tratta di un gruppo quotato oppure no. In caso di società non quotata i pericoli aumentano, e di molto, in termini di minore trasparenza e di possibili brutte sorprese. Ne sanno qualcosa i soci di Veneto Banca e di Popolare Vicenza che, dopo aver visto per anni crescere il valore delle loro azioni, hanno poi subito una drastica svalutazione. Prima di comperare un'azione non quotata, è bene sapere che significa ingessare l'investimento senza sicurezza sulla sua evoluzione. Chi le ha già in portafoglio, ne verifichi in banca il valore e a quali condizioni si possa effettivamente cederle.

Sui depositi c'è lo scudo del Fondo. Ma occhio a chi sono gli intestatari

Il titolare di un conto corrente (o di un conto di deposito remunerato) gode della massima tranquillità quanto a sicurezza del capitale, ma solo fino a un tetto di 100mila euro. Anche in caso di fallimento della banca, interviene infatti il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd). Ma attenzione. Nel caso in cui un risparmiatore fosse intestatario di più conti correnti, ognuno superiore ai 100mila euro, e due o più banche delle quali è cliente fallissero, verrebbe coinvolto in ognuno dei casi in cui è correntista al di sopra dei 100mila euro. Il correntista corre poi altri grattacapi «lievi» (rispetto alla perdita del capitale) ma comunque onerosi: i bolli di legge (0,20% l'anno del capitale depositato), i costi per le operazioni bancarie (movimenti, bonifici, pagamenti utenze, invio estratti conto) e le spese di tenuta conto. Nel caso vi sia un deposito titoli collegato, scattano gli oneri fiscali (bolli e ritenute sulle plusvalenze) e le spese annue di tenuta.

Fondi ed Eft, capitale protetto anche se la banca fallisce

I fondi comuni, gli Etf e i comparti di Sicav sono molto diffusi nei portafogli delle famiglie italiane, ma sono anche tra i più sicuri e trasparenti. Hanno, infatti, una quotazione giornaliera: la banca depositaria, autonoma rispetto alla società di gestione (Sgr), calcola il valore netto di ogni singola quota. La Sgr pubblica poi sul proprio sito la composizione del portafoglio, permettendo così ai sottoscrittori di conoscere esattamente in quali mercati sia investito il capitale. La banca, o la Sim, comunica (di norma ogni tre o sei mesi) i movimenti dei fondi e degli Etf, calcolando e liquidando per conto del cliente gli oneri fiscali dovuti. Il grado di rischio è quindi legato solo alla tipologia del fondo (azionario, obbligazionario, monetario). Non c'è invece nessun rischio emittente, in quanto il patrimonio del fondo è distinto da quello della Sgr e quindi anche nel caso di fallimento di quest'ultima il sottoscrittore non perde il proprio capitale.

Cosa sono i bond «subordinati» e quando c'è da avere paura

I possessori di obbligazioni subordinate possono essere chiamati (e dal primo gennaio lo saranno di legge con il «bail-in») a partecipare al fallimento o salvataggio di una banca, come è accaduto a Etruria, Banca Marche, CariFe e CariChieti. I bond subordinati (detti «junior») danno una cedola «tonda» ma espongono a rischi superiori alle normali obbligazioni (dette «senior»). Ne esistono di quattro tipi: dalla più rischiosa «Tier 1 (T1)», assimilabile alle azioni, a quelle di secondo livello (le UT2 e le LT2, le più diffuse sul mercato), fino alle Tier 3. In alcuni casi, l'obbligazionista, in caso di fallimento della banca, viene soddisfatto dopo i creditori dei bond senior. In altri casi, come Etruria & C, può invece perdere tutto il capitale. Per sapere la tipologia dei bond occorre leggere il prospetto informativo dell'emissione. Un altro problema è poi che le obbligazioni subordinate hanno sovente una «liquidità» limitata e quindi potrebbe essere difficoltoso rivenderle.

Con future e derivati pochi giorni per guadagnare (o perdere tutto)

Uno strumento derivato (future) è un contratto nel quale si stabilisce che entro una certa data sarà completata un'operazione di acquisto (o di vendita) di una merce o attività finanziaria (sottostante) a un prezzo prestabilito. Chi acquista il future assume una posizione «lunga»: deve cioè acquistare, alla scadenza, l'attività sottostante al contratto, oppure può chiudere la posizione vendendo un future analogo a quello acquistato. Analogamente, chi vende un future assume una posizione «corta», ovvero si impegna a consegnare a scadenza l'attività sottostante. Un aumento del prezzo del future genera quindi profitti per chi assume una posizione «lunga» e perdite per chi assume una posizione «corta». Al di là delle tecnicalità, i derivati sono strumenti molto speculativi ed espongono gli investitori al rischio massimo: perdere l'intero capitale in poche sedute di Borsa. Non esiste infatti alcuna forma di garanzia sul denaro investito in questi prodotti.

Se la polizza è "index linked" bisogna controllare le garanzie

Tre le tipologie di polizze Vita più diffuse: quelle tradizionali, le index linked e le unit linked. Si tratta di prodotti in genere sicuri, a partire dalle polizze «classiche», che inoltre garantiscono vantaggi fiscali. Le unit linked sono invece assimilabili a gestioni patrimoniali, con alcuni vantaggi di tipo assicurativo e di personalizzazione. Come per i fondi, il loro rischio è unicamente connesso ai mercati finanziari. Sono infatti completamente slegate dalla solidità della compagnia assicurativa emittente: se anche fallisse, non avrebbe alcuna ripercussione sulla polizza. Nel caso della index linked valgono le stesse considerazioni, con però un'aggravante: il contratto sottostante fa riferimento a un bond di una società terza (diversa dalla compagnia assicurativa), che se fallisse non garantirebbe la restituzione del capitale.

È quanto è accaduto, per esempio, in alcuni contratti index linked «appoggiati» a obbligazioni dell'ex Lehman Brothers.

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