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I "sedici nani" repubblicani lo inseguono in affanno

Da Jeb Bush a Marco Rubio i "favoriti" senza una bussola. Il confronto tra 17 concorrenti ridotto alla corsa contro un singolo

I "sedici nani" repubblicani lo inseguono in affanno

New York - Quando è uscita la notizia che Donald Trump non aveva riempito tutti i 40 mila posti dello stadio in Alabama, per l'evento inaugurale della sua campagna nel sud degli Stati Uniti, è scoppiata l'euforia tra i concorrenti repubblicani. Al pari di una vera e propria vittoria elettorale. Il dato è indicativo della particolare «ossessione«, in certi casi quasi schizofrenica, che c'è nel Grand Old Party riguardo al miliardario newyorkese. Quello che dai più era considerato un fenomeno della politica americana destinato a morire sul nascere si è rivelato invece il grande protagonista della sponda repubblicana del Potomac in questa estate che precede la fase più calda delle primarie di Usa 2016. A rendere sempre più ampio il distacco di Trump è la mancanza di carisma degli altri candidati, che gli elettori della destra invece si aspettavano dopo otto anni di amministrazione democratica. E più aumentano i punti percentuali che separano il magnate dai rivali, più loro iniziano a perdere le staffe. Persino il misurato Jeb Bush risente del clima di nervosismo che si respira in casa repubblicana, e proprio sul tema scottante dell'immigrazione, inveisce in un'intervista radiofonica e se la prende con il giornalista. Sin dall'inizio l'ex governatore della Florida è stato considerato il frontrunner , e in molti già immaginavano un nuovo duello tra la sua dinastia e quella dei Clinton.

Gli americani però sembrano non volere un terzo Bush alla guida del Paese: per quanto diverso come personaggio dal fratello e dal padre, è pur sempre il simbolo della politica dei grandi clan. Tra i promettenti del Gop c'è il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, che tuttavia è molto giovane. Chi può avere le caratteristiche per contrapporsi a Trump come anima meno estremista potrebbe essere il senatore della Florida, Marco Rubio, un tempo considerato l'astro nascente del partito. Mentre i senatori del Texas, Ted Cruz, e del Kentucky, Rand Paul, appartengono alla dimensione ultra-conservatrice che trova terreno fertile nei Tea Party, ma che non ha reali chance di ottenere un consistente appoggio dei grandi elettori. Inoltre, l'elevato numero di candidati - alcuni con posizioni molto vicine tra loro - frammenta il consenso e crea confusione agli occhi degli elettori, i quali preferiscono una figura che si distingue con proposte provocatorie, a volte irriverenti, come il miliardario immobiliarista. Dal muro contro gli immigrati all'ostilità al made in China , sino all'opposizione ai grandi trattati di libero scambio, il magnate sembra incontrare sempre di più il favore degli americani. Tanto che il Washington Post sottolinea come le primarie repubblicane si stiano trasformando più che altro in un puzzle su come fermare l'uragano Trump.

E così, mentre lui veleggia al 24% delle preferenze (secondo l'ultimo sondaggio Cnn/Orc) staccando di parecchi punti i rivali Jeb Bush con il 13%, l'ex neurochirurgo Ben Carson con l'8%, e Marco Rubio con il 7%, l'affollata schiera dei candidati Gop si divide in tre categorie. Ci sono quelli che cercano di seguire le sue linee audaci nel tentativo di conquistarne i sostenitori, quelli che lo attaccano soprattutto per il suo background, e quelli che preferiscono rimanere in silenzio, sperando che passi la bufera.

E a gettare altra benzina sul fuoco è Rupert Murdoch, il quale definisce Trump un aspirante presidente «molto serio», ma suggerisce che «il vero candidato miliardario» dovrebbe essere l'ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, «l'executive filantropo che assieme a Rudy Giuliani ha fatto della Grande Mela una grande città».

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